Herbert Marcuse è stato uno dei pensatori più influenti del Novecento, soprattutto è nota la passione che per lui avevano gli studenti in rivolta nei tardi anni sessanta. Il suo pensiero, intrinsecamente anti-autoritario, rispecchiava la volontà di cambiamento radicale che animava la protesta dei giovani in tutto il mondo occidentale; il suo rifiuto di ogni forma di repressione, il suo secco no alla civiltà tecnologica (in entrambe le declinazioni liberal-capitalistica e comunista-sovietica), lo resero il filosofo del "grande rifiuto" verso ogni forma di repressione.

Egli può essere infatti definito solo in modo generico un pensatore marxista, poiché, di fronte al fallimento, durante il XX secolo, delle previsioni di Marx, col dileguarsi dello scontro di classe in Occidente, intuì che la lotta non era finita, ma si era solamente spostata nel terzo mondo, oppresso dall'imperialismo occidentale, sul quale anche le classi emarginate del "primo mondo" esercitavano una oppressione, pur accontentandosi delle briciole del banchetto capitalista.

Per i sessantottini fu anche molto importante il concetto di "liberazione dell'eros", inteso non solo come liberazione sessuale, ma come liberazione delle energie creative dell'uomo dal condizionamento della società repressiva, per la creazione di una società più aperta, fatta di uomini liberi e solidali tra loro. Eros inteso anche come "bello", in opposizione al concetto di dominio della società tecnologica; egli utilizzò l'espressione "società come opera d'arte", ovvero una società più autentica, veramente libera, dominata dalla fantasia e dall'arte come dimensione fondamentale di ogni forma di convivenza.

Eros e civiltà

Uno dei capolavori di Herbert Marcuse è considerato Eros e civiltà. Contributo a Freud del 1955, opera rivoluzionaria, nella quale il pensatore tedesco, riconsiderando le idee freudiane e quelle marxiste alla luce della nuova cultura americana, inquadra la società contemporanea in un modello di società "liberata", non repressiva. Il sottotitolo dell'opera, «Contributo a Freud», ci indica la strada che Marcuse intende seguire: rileggere criticamente gli scritti di Freud sulla cultura, in particolare "Il disagio della civiltà" (1930), ripensandoli al di là delle interpretazioni neofreudiane culturaliste (fra cui, quelle di Erich Fromm), da lui considerate sclerotiche e deformate, per poi riformularle secondo una nuova direzione, nonché esplorarle in modo più approfondito.

La critica al socialismo reale e alla civiltà industriale

Nell'opera Il marxismo sovietico, Marcuse osserva come anche in Unione Sovietica il mutamento dei rapporti di produzione sia stato seguito da una perdita di coscienza rivoluzionaria, finendo per diventare un'altra espressione, accanto al capitalismo, di quella società industriale inevitabilmente portatrice di una morale repressiva.

Su questo punto egli condivide almeno in parte il pessimismo di Adorno e Horkheimer (due filosofi appartenenti alla "scuola di Francoforte"), riguardo al rapporto tra progresso tecnologico ed emancipazione umana.

Marcuse si pone una domanda circa la posizione di Freud: il processo secondo cui la civiltà moderna ha dirottato gli impulsi sessuali in impulsi di altro tipo, come ad esempio il lavoro, l'arte le istituzioni è un fatto intrinseco alla natura di ogni società, o si tratta di un fenomeno transitorio in quanto frutto di un'organizzazione irrazionale delle forme di convivenza tra gli uomini?

La risposta che Marcuse fornisce a questa domanda è in aperto contrasto con la tesi di Freud: la scarsità di beni per cui sono necessari meccanismi quali la divisione del lavoro e il differimento del soddisfacimento dei bisogni è frutto di una organizzazione irrazionale della società, nella quale i beni sono distribuiti in misura iniqua. Freud ha scambiato per caratteristica generale un assetto transitorio che configura un dominio attuato attraverso forme di violenza in un primo momento e, successivamente, con l'amministrazione totale della società.

In relazione a quanto detto, Marcuse critica anche le teorie dei neofreudiani e di Erich Fromm, i quali curano le nevrosi considerandole come forme di adattamento all'assetto sociale esistente. Il filosofo tedesco considera "revisionista" questa visione poiché si accetta supinamente il dato di fatto, e non si coglie il potenziale eversivo della liberazione dell'eros e degli istinti repressi.

Il principio di prestazione

Come detto, la repressione è per Marcuse connessa alla sostituzione del "principio del piacere" col "principio di realtà"; ma egli sottolinea la presenza di un altro livello attraverso il quale la società opprime l'essere umano, e cioè il cosiddetto "principio di prestazione" (performance principle); per prestazione si intende ciò che "si deve fare" a causa del proprio ruolo nella società, quindi la repressione attuata attraverso questo principio è strettamente legata alla stratificazione sociale e alla divisione del lavoro. In altre parole la prestazione è ciò che l'individuo deve fornire alla società, ed è ciò che la società si aspetta dall'individuo. Questa ulteriore repressione non avviene solamente attraverso la funzione che la persona svolge, ma è veicolata anche dalla famiglia patriarcale e dalla direzione univoca imposta alla sessualità, ovvero la genitalità.

La società totalitaria e le sue potenzialità non repressive

Apparentemente l'apparato produttivo ha raggiunto dimensioni tali che i desideri umani possano subire un mutamento qualitativo (in senso onnilaterale come direbbe Marx), ma la società crea bisogni artificiali impedendo la liberazione degli individui attraverso il soddisfacimento delle pulsioni vitali. Ed è proprio per questo, secondo Marcuse, che le società che si definiscono democratiche finiscono per essere intrinsecamente totalitarie, cioè rendono impossibile qualsiasi forma di opposizione.

Ma questi agglomerati così oppressivi per l'uomo contengono al loro interno grandi potenzialità non repressive e, sulla scorta delle suggestioni di Charles Fourier (socialista utopista) e di Schiller, il filosofo tedesco attribuisce una fondamentale importanza all'immaginazione ("immaginazione al potere" sarà uno dei motti preferiti del '68; vedi più avanti) e all'utopia, per far sì che un giorno l'eros sia liberato e che le energie possano confluire liberamente in tutti gli aspetti della vita umana, non solo nel lavoro, che a quel punto diventerebbe una piacevole attività ludica.

Queste considerazioni si basano, oltre che sulle influenze del già citato "socialismo utopistico", anche sulle considerazioni di Marx, secondo il quale lo sviluppo industriale fornirà all'uomo beni tali da creare un mondo libero dall'alienazione, nel quale ogni individuo potrà sviluppare autonomamente la propria individualità.

L'uomo a una dimensione

«Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico.»

Così Herbert Marcuse inizia la sua opera forse più importante, L'uomo a una dimensione, del 1964. È questo un Marcuse più pessimista rispetto ad Eros e civiltà, meno disponibile ad arrendersi a un ordine sociale che appare totalitario, che permea di sé ogni aspetto della vita dell'individuo e, soprattutto, che ha inglobato anche forze tradizionalmente "anti-sistema" come la classe operaia. In questo modello la vita dell'individuo si riduce al bisogno atavico di produrre e consumare, senza possibilità di resistenza. Marcuse denuncia il carattere fondamentalmente repressivo della società industriale avanzata che appiattisce in realtà l'uomo alla dimensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.

Tolleranza repressiva

Nelle moderne democrazie occidentali i valori, che una volta erano propri di una parte della società (la classe borghese), si sono diffusi a tutti gli altri soggetti sociali, che si appiattiscono sull'ordine esistente: è in questo quadro che Marcuse elabora il concetto di tolleranza repressiva, ovvero il momento nel quale la libertà va a coincidere col permissivismo.

Nelle democrazie occidentali, a livello teorico, si parte dall'assunto che nessuno possiede la verità assoluta, allora la scelta viene affidata alla collettività, che può scegliere liberamente tra diverse interpretazioni politico-etico-culturali della realtà; è proprio a questo punto del processo "democratico" che si innesca il meccanismo repressivo: l'amministrazione totale dell'esistenza da parte della società impedisce, di fatto, una scelta che sia veramente libera, il contrario del relativismo democratico, ovvero un diffuso conformismo. In altre parole all'uomo viene data la possibilità di scegliere, ma non vengono forniti gli strumenti per farlo in modo veramente indipendente.

Anche il pensiero filosofico è asservito al senso comune, è unidimensionale. Marcuse critica alcune delle più importanti correnti del pensiero novecentesco sulla base dell'incapacità da parte di queste dottrine di opporre un radicale rifiuto al sistema esistente: il neopositivismo giudica l'attendibilità di una proposizione in base alla constatazione empirica, la filosofia analitica rispetto alla conformità col linguaggio comune. La ragione e il linguaggio non sono più strumenti in grado di assolvere al compito principale della filosofia, cioè trascendere la realtà esistente, restando fedeli al contenuto universale dei concetti.

Democratica non-libertà

La società tecnologica avanzata riduce tutto a sé, ogni dimensione "altra" è asservita al potere capitalistico e ai consumi, conquistata dal dominio "democratico" della civiltà industriale; una società che condiziona i veri bisogni umani, sostituendoli con altri artificiali. È in questo senso che Marcuse formula la condanna della tecnologia, che conterrebbe già insita nella sua natura un'ideologia di dominio.

Possibilità di cambiamento

Questa "democratica non-libertà" permea tutto di sé, niente le sfugge, neanche gli strati tradizionalmente anti-sistema come la classe operaia, che si è pienamente integrata nel sistema stesso. Ma esistono ancora dimensioni al di fuori di esso, "al di sotto della base popolare conservatrice"? Marcuse risponde affermativamente: vanno ricercate negli emarginati, nei reietti, nei perseguitati, nei disoccupati, in coloro cioè, che non sono ancora stati fagocitati dalla società repressiva.

Il filosofo tedesco, non a caso, chiude la sua opera con una citazione da Walter Benjamin:

«è solo per merito dei disperati che ci è data una speranza.»