Ci opponiamo alla politica giudicandola pratica di potere e riteniamo i partiti e gli esponenti politici dediti a interessi personali e non al bene comune.
Aristotele diceva che chi afferma l'inutilità della filosofia la può sostenere solo argomentando filosoficamente, così si potrebbe dire che colui che proclama la sua contrarietà alla politica, fa necessariamente politica.
Se vogliamo trovare un criterio unico valido per tutti ci dobbiamo riferire a ciò che nell'uomo è sempre presente e permane immutabile, cioè alla natura, che non è soggetta alle convenzioni umane.
Se osserviamo il comportamento degli esseri naturali dove la natura si manifesta spontaneamente, come negli animali o nei neonati, troveremo un principio inalterabile e uguale per tutti quello che stabilisce che: per natura è giusto ciò che piace.
Ma se tutti prendessero come elemento determinante del loro comportamento l'interesse egoistico individuale allora inevitabilmente andremo incontro ad uno stato di natura dove l'unica legge che conta è quella della giungla, dell'homo homini lupus, dove ognuno cerca di sopraffare l'altro.
Ciò non avverrà, sostengono i sofisti, perché la stessa natura ha stabilito un ordine per cui: è giusto ciò che piace al più forte e il più forte non sarà il più forzuto ma colui che sa bene usare la parola.
Di fronte ai progressi materiali si acuisce il disagio nei confronti della civiltà e si desidera tornare alla purezza iniziale della natura per recuperare semplicità di vita e senso di sicurezza.
La grande filosofia del passato sopravvive anche nell'età ellenistica: Platone ed Aristotele non sono dimenticati ma è ormai cambiato il centro di riferimento della filosofia che ora guarda agli aspetti pratici dell'esistenza mentre vengono messe da parte le speculazioni teoretiche. La filosofia come ricerca della eudemonia (serenità, felicità), come rimedio ai mali dell'esistenza.
La vita politica, il rapporto dell'uno con tutti è abbandonato ma all'uomo rimane necessario sostituire all'antipolitica un'altra forma di condivisione materiale e spirituale. "Vivi nascosto" dice Epicuro e sostituisci alla politica i rapporti interindividuali, e tra questi soprattutto l'amicizia.
Il mondo della politica è per sua natura un mondo diabolico, tenebroso, ingannatore. Parlare di politica significa entrare in quei sotterranei dove vivono, o meglio sopravvivono, personaggi insensati e anomali, povere persone squilibrate e fanatiche di ideologie nulle, uomini e donne che si autoeleggono guru, profeti, santoni… fino ad inventarsi appellativi di cui chiunque in possesso di un minimo di ragionevolezza può cogliere l’assurdità.
Eppure, all’interno di questo sotterraneo, transitano tante vittime; molti quelli che vi restano per sempre perché resi schiavi, ingannati, plagiati, alienati. E così, grazie all’incredulità di tanti e alla consapevole, ambigua indifferenza di troppi, la politica sembra prevalere sulla ragione.
È l'antipolitica passiva delle masse contadine che nell'età dei Comuni avevano creduto di poter partecipare da liberi alla conduzione della vita cittadina ma si erano ben presto resi conto dell'inganno quando dopo aver attirato i contadini in città («l'aria delle città rende liberi») affrancandoli ed usandoli come operai per le manifatture, i cittadini sottoposero la campagna alla città con un regime vincolistico dei prezzi dei prodotti agricoli.
È l'antipolitica dell'incolto che ormai ha capito il trucco sofistico: rifiuta a priori il linguaggio politico perché non gli appartiene e che disprezza come puro esercizio verbale.
Così, secondo Hobbes, non ci si può fidare degli uomini: il patto stretto tra il popolo e lo Stato deve essere un "pactum subiectionis", un patto di soggezione dell'uomo, antipolitico per natura, soggetto passivo della politica; l'individuo tenderebbe a vivere in uno stato belluino iniziale di natura e solo la paura della morte lo convince ad affidarsi allo stato-leviatano che gestirà per lui tutti i diritti meno quello alla vita.
Da qui la sfiducia delle classi dirigenti cittadine nei confronti delle masse per loro natura antipolitica e informe. Masse delle quali persino i marxisti diffidavano o meglio ne riconoscevano la validità solo come massa d'urto rivoluzionaria sotto la guida del proletariato.
La nostra antipolitica attiva è invece di colui che contesta tutto ciò che riguarda le forme della politica condivisa, le strutture della democrazia politica: le accusa di ideologismo, di astrattezza, di inutili procedure, fonti di lungaggini, a cui vuole contrapporre invece un fare, un'azione spiccia, pratica e fruttuosa.
È l'azione diretta di colui che contesta il modo di fare politica del presente e auspica un nuovo modo di esercitare la politica.
Quindi, non un rifiuto per il rifiuto, ma un opporsi per costruire una politica più vera ed alta.
Un'antipolitica che rimane politica, anche se spesso nell'accezione assolutistica della democrazia diretta.
Da qui si origina la rivoluzione intesa come radicale cambiamento, che comporta spesso trasformazioni profonde di tutta la struttura sociale, economica e politica di un sistema. Un'antipolitica che mira all'instaurarsi di un NUOVO tipo di cultura.
"Il vecchio modo di fare le cose non funziona più, ma non abbiamo ancora trovato il nuovo modo di farle. Quindi c’è un divario tra le regole che non funzionano più e quelle che dobbiamo ancora immaginare. Quello che facciamo è solo sottolineare le contraddizioni di alcuni leader contro altri, e chiederci chi è meglio… Va bene, ma il vero dibattito è come colmare questo vuoto..!" (Zygmunt Bauman)