Gli anarco-capitalisti possono essere definiti dei capitalisti classici? E soprattutto, possono essere definiti anarchici?

“Lo Stato, a differenza di quanto accade con una banda di malfattori, non è considerato una organizzazione criminale; anzi, solitamente i suoi tirapiedi hanno rivestito le posizioni più elevate nella società. Si tratta di una condizione che permette allo Stato di cibarsi delle proprie vittime e, al tempo stesso, di raccogliere il sostegno, o almeno l’acquiescenza, di gran parte di esse a questo processo di sfruttamento.”

 

(Murray Rothbard)

Lo stesso autodefinirsi "anarchici" dei principali esponenti dell'anarco-capitalismo è stato spesso contestato dagli altri movimenti anarchici. Nonostante ciò, gli anarco-capitalisti credono che la via da loro proposta sia la sola attraverso cui è possibile giungere a realizzare concretamente l'ideale di assenza dello stato cui tendono anche gli anarchici "tradizionali".

Gli anarco-capitalisti rispondono all'epiteto di ossimorici o pseudo-anarchici asserendo che: quello in cui viviamo oggi non si tratterebbe di un vero "capitalismo ideale", bensi di un'oligarchia tecnocratica ove gli stati-nazione sono collusi con un sistema lobbista che attraverso il "pubblico" causa clientelismo e sprechi ai massimi livelli e a favore di pochi, mentre un vero libero mercato consentirebbe la garanzia di servizi umanistici e non, incentivati dalla competizione naturale a garantire il miglior servizio alla migliore offerta.

"Se è difficile credere che lo Stato possa produrre con successo le automobili o il cibo, perché mai dovremmo ritenere che in una produzione certo non meno semplice quale quella del diritto lo Stato avrà maggiore successo? Perché chi è scadente nel consegnare la posta o nel far viaggiare i treni dovrebbe eccellere nella gestione delle scuole o degli ospedali?"

 

(David Friedman, da "Il marchingegno della libertà", 1973) 

Nei confronti dell'anarchismo collettivista, gli anarco-capitalisti esprimono critiche assai dure, accusandoli di essere dominati da idee di provenienza marxista. Ad ogni modo, questo anarco-liberismo si differenzia radicalmente dall'anarco-socialismo sostenuto da Proudhon prima e Bakunin poi, e in parte anche dall'anarchismo individualista di Max Stirner.

In sintesi, gli an-cap ritengono che la libertà individuale rappresenti il bene politico supremo e che l'unica soluzione ragionevole per assicurarne un'adeguata protezione stia nella scelta di affidarla ad enti in competizione tra di loro. Nella teoria an-cap le istituzioni pubbliche lasciano il posto ad ordinamenti legali scelti dalle persone nel quadro di un mercato competitivo. In questo senso, la componente più radicale dell'anarco-capitalismo propone che anche i servizi della difesa, della giustizia e dell'ordine pubblico si trasformino nel prodotto di aziende private, impegnate a contendersi clienti attraverso il soddisfacimento al meglio delle loro esigenze.

In quanto Comunitaristi Libertari, ci sentiamo d'accordo sulla questione dell'auto governo, oltre a una distinzione tra proprietà privata e privatizzazione, ma riteniamo che una rivoluzione economica non sia sufficiente e che debba avvenire parallelamente a una rivoluzione che sia anche sociale e spirituale, in quanto i problemi sociali e si riformerebbero, portando nuovamente di riflesso a movimenti reazionari socialisti, e con il timore che tali enti si trasformino in "Stati privati", di cui cambia solo la sostanza economico-burocratica.

Per gli an-cap infatti, le funzioni oggi svolte dallo Stato dovrebbero tornare alle libere associazioni, alle comunità volontarie e allo spirito filantropico. Nella teoria della società strutturata sul libero mercato l'esistenza stessa del Welfare, come forma di assistenzialismo garantito costituzionalmente e legalmente, si renderebbe del tutto inutile, essendo gli individui in grado di interagire in un mercato del lavoro estremamente diversificato e competitivo e potendo così ricavare dalle proprie aumentate capacità produttive le risorse finanziarie necessarie a provvedere al mantenimento della propria salute, nonché alla propria previdenza.

"Non esiste un "movimento ancap ufficiale", ma che qualche an-cap abbia sostenuto o sostenga un mutualista, non è improbabile. Il mutualismo non si oppone alla proprietà privata e quindi è inglobabile all'interno di un sistema anarco-capitalista. Il mutualisti, quali Proudhon, sostengono che in vece dello stato è auspicabile il formarsi di un tipo di "mutua azienda", per l'appunto mutualistica. A un an-cap che si formino aziende mutualistiche o meno non interessa molto. L'importante che queste aziende rispettino il principio di non aggressione e di proprietà privata. Se lo fanno allora il mutualismo è al 100% compreso all'interno del framework an-cap. Se non lo fanno, allora è un semplice tipo di statalismo minarchista."

 

(Jack Zana - Movimento Libertario)

Ecologia di Mercato

L'eco-capitalismo, a volte indicato come capitalismo verde ma principalmente chiamato ambientalismo del libero mercato, è figlio del capitalismo e dell'ambientalismo, crede che il desiderio del mercato di prodotti più ecologici combinati con prodotti più efficienti sotto il profilo delle risorse siano più redditizi, beneficenza e i proprietari di proprietà che non vogliono che la loro proprietà venga inquinata limiterebbero naturalmente la quantità di inquinamento dell'ambiente terrestre in modo naturale.

"Il capitalismo viene spesso accusato dagli ecologisti di essere responsabile dei maggiori problemi ecologici, come l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, l’esaurimento delle risorse naturali, la deforestazione, la desertificazione, l’estinzione delle specie animali e vegetali. Questa idea è servita a giustificare un intervento massiccio dello stato nel campo ambientale, sotto forma di collettivizzazione dei beni, minuziose regolamentazioni, tasse sulle imprese “inquinanti” e altre misure restrittive.

L’ecologia di Stato, che ha moltiplicato le burocrazie ambientali affidando a politici e burocrati quelle decisioni che un tempo erano di esclusiva competenza dei proprietari e delle comunità, non ha dato però buoni risultati. L’estensione della proprietà pubblica ha spesso favorito il degrado del territorio e degli ambienti naturali. È facile accorgersi, infatti, che ad essere inquinate o abbandonate all’incuria sono solitamente le risorse pubbliche come l’atmosfera, i mari, i laghi, i fiumi, le spiagge, le foreste: quelle cioè prive di un proprietario. Le risorse private, al contrario, risultano generalmente ben conservate.

L’ecologia di mercato parte da questa constatazione per proporre una nuova forma di gestione dell’ambiente, basata sui diritti di proprietà, sul libero mercato e sull’associazionismo privato. Quasi sempre la presenza di un proprietario assicura una miglior protezione, una miglior cura e un incremento di valore dei beni naturali. Si spiega così perché sono le specie animali in proprietà pubblica, come i bisonti, le tigri, gli elefanti, le balene o i pesci nei mari aperti che rischiano l’estinzione. Al contrario le mucche, i maiali, le galline o i pesci in acquacoltura proliferano meravigliosamente, perché i proprietari sono interessati alla loro proliferazione.

Il problema dello statalismo ambientale è che i beni pubblici sono spesso trattati come beni di nessuno, dato che i politici e i burocrati non hanno alcun incentivo personale a tutelarli. Nei paesi comunisti si sono verificati delle catastrofi ambientali molto peggiori che in Occidente (si pensi alla desertificazione del Lago d’Aral), perché la gestione burocratica dei beni era molto estesa, la proprietà privata assente e i prezzi di mercato completamente distorti."

 

(Guglielmo Piombini)


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