Il testo che qui si riproduce è la lettera che Errico Malatesta scrisse da Londra a Luigi Fabbri in merito al tema della dittatura del proletariato che agitava il movimento operaio e rivoluzionario a seguito della Rivoluzione Russa. Con una certa cautela per una possibile evoluzione in senso libertario della Rivoluzione, ma anche con estrema chiarezza per quanto riguarda la realtà corrente, Malatesta chiarisce che la cosiddetta dittatura del proletariato altro non è che la dittatura del partito sulle masse popolari.

Se questa e altre lucide analisi della Rivoluzione Russa fatte dagli anarchici fossero state accettate per vere, come vere erano agli inizi della rivoluzione e come lo saranno sempre più negli anni successivi, le persone si sarebbero risparmiate oltre settant’anni di nefandezze e di violenze inaudite, in nome del socialismo e della classe operaia.

“Carissimo Fabbri [1],

 

Sulla questione che tanto ti preoccupa, quella della dittatura del proletariato, mi pare che siamo fondamentalmente d'accordo.

 

A me sembra che su questa questione l'opinione degli anarchici non potrebbe essere dubbia, ed infatti prima della rivoluzione bolscevica non era dubbia per nessuno. Anarchia significa non-governo e quindi, a maggior ragione, non-dittatura, che è governo assoluto, senza controllo e senza limiti costituzionali.

 

Ma quando è scoppiata la rivoluzione bolscevica parecchi nostri amici hanno confuso ciò che era rivoluzione contro il governo preesistente, e ciò che era nuovo governo che veniva a sovrapporsi alla rivoluzione per frenarla e dirigerla ai fini particolari di un partito - e quasi si sono dichiarati bolscevichi essi stessi.

 

Ora, i bolscevichi sono semplicemente dei marxisti, che sono onestamente e conseguentemente restati marxisti, a differenza dei loro maestri e modelli, i Guesde [2], i Plechanov [3], i Hyndman [4], gli Scheidemann [5], i Noske [6], ecc. che han fatto la fine che tu sai. Noi rispettiamo la loro sincerità, ammiriamo la loro energia, ma come non siamo stati mai d'accordo con loro sul terreno teorico, non sapremmo solidarizzarci con loro quando dalla teoria si passa alla pratica.

 

Ma forse la verità è semplicemente questa: che i nostri amici bolscevizzanti con l'espressione «dittatura dei proletariato» intendono semplicemente il fatto rivoluzionario dei lavoratori che prendono possesso della terra e degli strumenti di lavoro e cercano di costituire una società, di organizzare un modo di vita in cui non vi sia posto per una classe che sfrutti ed opprima i produttori. Intesa così, la «dittatura dei proletariato» sarebbe il potere effettivo di tutti i lavoratori intenti ad abbattere la società capitalistica, e diventerebbe l'anarchia non appena fosse cessata la resistenza reazionaria e nessuno più pretendesse di obbligare con la forza la massa ad ubbidirgli e a lavorare per lui. Ed allora il nostro dissenso non sarebbe più che una questione di parole. Dittatura del proletariato significherebbe dittatura di tutti, vale a dire non sarebbe più dittatura, come governo di tutti non è più governo, nel senso autoritario, storico, pratico, della parola.

 

Ma i partigiani veri della «dittatura del proletariato» non la intendono così, e ce lo fanno ben vedere in Russia. Il proletariato naturalmente c'entra come c'entra il popolo nei regimi democratici, cioè semplicemente per nascondere l'essenza reale della cosa. In realtà si tratta della dittatura di un partito, o piuttosto dei capi di un partito ed è dittatura vera e propria, coi suoi decreti, con le sue sanzioni penali, con i suoi agenti esecutivi e soprattutto con la sua forza armata, che serve oggi anche a difendere la rivoluzione dai suoi nemici esterni, ma che servirà domani per imporre ai lavoratori la volontà dei dittatori, arrestare la rivoluzione, consolidare i nuovi interessi che si vanno costituendo e difendere contro le masse una nuova classe privilegiata.

 

Anche il generale Bonaparte servì a difendere la Rivoluzione Francese contro la reazione europea, ma nel difenderla la strozzò. Lenin, Trockij e compagni sono di sicuro dei rivoluzionari sinceri, così come essi intendono la rivoluzione, e non tradiranno; ma essi preparano i quadri governativi che serviranno a quelli che verranno dopo per profittare della rivoluzione ed ucciderla. Essi saranno le prime vittime del loro metodo, e con loro, io temo, cadrà la rivoluzione. È la storia che si ripete: mutatis mutandis, è la dittatura di Robespierre che porta Robespierre alla ghigliottina e prepara la via a Napoleone.

 

Queste sono le mie idee generali sulle cose di Russia. In quanto ai particolari, le notizie che abbiamo sono ancora troppo varie e contraddittorie per poter arrischiare un giudizio. Può anche darsi che molte cose che ci sembrano cattive siano il frutto della situazione e che nelle circostanze speciali della Russia non fosse possibile fare diversamente da quello che hanno fatto. È meglio aspettare, tanto più che quello che noi diremmo non può avere nessuna influenza sullo svolgimento dei fatti in Russia, e potrebbe in Italia essere male interpretato e darci l'aria di far eco alle calunnie interessate della reazione.„

 

— Errico Malatesta


Note

[1] Luigi Fabbri (1877-1935), scrittore anarchico italiano, redattore insieme a Pietro Gori della rivista Il Pensiero e autore del testo Ditttatura e rivoluzione che presenta la sua posizione sull’esperienza della Rivoluzione Russa.

[2] Jules Guesde (1845-1922), esponente di primo piano del socialismo in Francia. Uno dei fondatori con Paul Lafargue del Partito Operaio (1880). Negli anni 1914-1916 entrò a far parte del governo Viviani e poi del governo Briand spostandosi su posizioni nazionalistiche alo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

[3] Georgij Plechanov (1856-1918) filosofo e diffusore del pensiero marxista in Russia. Aderì all'ala menscevica del Partito socialdemocratico russo e condannò la presa del potere da parte dei bolscevichi come l'atto prematuro di una minoranza.

[4] Henry Hyndman (1842-1921), fondatore della Federazione Socialdemocratica (1881) e popolarizzatore del marxismo in Inghilterra. Allo scoppio della prima guerra mondiale passò su posizioni nazionalistiche e fondò un nuovo partito, il National Socialist Party.  

[5] Philipp Scheidemann (1865-1939), uomo politico socialdemocratico tedesco che proclamò nel 1918 la nascita della Repubblica di Weimar e ne divenne il primo cancelliere per alcuni mesi nel 1919.

[6] Gustav Noske (1868-1946), socialdemocratico tedesco, primo ministro della difesa della Repubblica di Weimar, divenne famoso per la repressione attuata nei confronti dei comunisti (1919) che portò all'uccisione di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht.