Il Subcomandante Marcos (in spagnolo: Subcomandante Insurgente Marcos), chiamato anche il “Delegato Zero”, è lo pseudonimo dietro il quale si celava il portavoce (vocero) dell'EZLN. Secondo il governo messicano, dietro il passamontagna che cela il volto del Subcomandante si nasconderebbe un laureato in filosofia ed ex-ricercatore dell'Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM): Rafael Sebastián Guillén Vicente (nato a Tampico, Messico, il 19 giugno 1957). Marcos ha tuttavia sempre negato di essere Rafael Guillén. Il 25 maggio 2014, durante un pubblico discorso, ha annunciato la sua scomparsa come personaggio pubblico e il passaggio di consegne ad altre realtà indigene dell'EZLN.

Del Subcomandante Marcos non si sa granché: si sa che cela il suo viso dietro il celeberrimo passamontagna, si sa che è un abile comunicatore, si sa che ha contribuito in prima persona alla riscoperta della questione indigena del Messico e si sa che è il portavoce dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Il resto è lui stesso a raccontarlo:

«Lo Stato in cui sono nato confina con il Rio Bravo a nord e il Rio Suchiate a sud; e con l'oceano Atlantico a est e l'oceano Pacifico a ovest. Ho studiato in qualche università di questo paese, non a Oxford, all'estero, anche se adesso è molto di moda studiare da quelle parti. Ho studiato in un'università messicana, sono arrivato in fondo, il che è già molto, mi sono laureato, ho fatto un corso di specializzazione (non so come si chiamino adesso, ma quando ero giovane si chiamavano corsi di specializzazione), e sono stato felice per qualche tempo, finché non mi sono ubriacato, ho preso l'autobus sbagliato e sono finito nella Selva Lacandona. Quando me ne sono reso conto, ormai ero lì, e non ne potevo uscire; questo è successo undici anni fa. Ed eccomi qui, ancora una volta. Non posso dire di più, ma possiamo sempre chiedere alla Procura Generale della Repubblica, magari è riuscita a mettere insieme maggiori informazioni.

Comunque sono un messicano qualsiasi [...]sono come qualsiasi compagno di quelli che stanno qui. Forse in questo momento si è fatto troppo leva sulla mia immagine perché sono l'unico che parla castigliano, ma il mio compito non consiste nel comando assoluto. E quando dicono: “Marcos è il capo”, non è vero, i capi sono loro. Io ho assunto un livello di dirigenza che riguarda soprattutto le questioni militari. Loro mi hanno detto di parlare, perché so parlare in spagnolo. I compagni parlano attraverso di me. Sono loro che dirigono, sono loro che pongono limiti e confini: ”Questo lo puoi dire e questo non lo puoi dire, qui puoi sbilanciarti e qui no”. Sono loro i miei capi e io ho il dovere di obbedire, loro decidono entro che limiti. Non c'è niente di straordinario in me che gli altri non abbiano, siamo tutti mossi dallo stesso desiderio di un paese giusto, diverso.» (Io, Marcos. Il nuovo Zapata racconta, Marta Durà n de Huerta, Feltrinelli).

Dopo la sollevazione popolare del 1994, Marcos ebbe a dire che l'EZLN «non è marxista» e in varie interviste si è dichiarato «più influenzato dall'intellettuale messicano Carlos Monsiváis che da Karl Marx»

Oltre che a Emiliano Zapata, ha dichiarato grande ammirazione per il rivoluzionario argentino Ernesto Che Guevara.In molte occasioni istituzionali (per es. elezioni politiche e amministrative) si è schierato apertamente per l'astensionismo, manifestando pubblicamente la sua sfiducia per i partiti politici e per le istituzioni.

Il Subcomandante ha dichiarato più volte che l'EZLN non è un partito che vuole conquistare il potere ma è un'organizzazione che intende mettere in discussione le strutture socio-politiche del Messico, per cercare di cambiarle in una direzione maggiormente popolare e libertaria. Le parole dello stesso Marcos d'altronde non lasciano dubbi sulle sue idee antiparlamentariste:

«Perché vogliono farci diventare un partito politico se noi non vogliamo il potere? Non riescono a capire che un movimento politico possa non essere interessato al potere politico? Ci sono già abbastanza partiti politici. Perché dovremmo aggiungerne un altro? Non vogliamo. Noi non stiamo promuovendo niente. Noi non chiediamo il governo. Noi vogliamo abbattere il governo. Noi vogliamo vivere in pace, in democrazia, libertà e giustizia».

Questa posizione sulla questione del potere, unita alla forte rilevanza data alle rivendicazioni indigene, è ciò che differenzia l'EZLN dall'altra maggiore formazione clandestina del Messico, l'Ejercito Popular Revolucionario, esplicitamente marxista-leninista:

«Un giornalista ci interrogò al riguardo e dicemmo che la legittimità l'Epr la doveva guadagnare con la propria gente. L'Epr l'ha interpretato come una critica, come se mettessimo in dubbio la sua legittimità, e in un'intervista, credo su Proceso (1996), l'Epr ha detto che non si poteva fare la rivoluzione con la poesia e che ci voleva appoggiare fino a quando non si interruppe il dialogo. Abbiamo risposto: "no, non vogliamo nessun appoggio perché ci muoviamo su strade differenti: voi volete il potere e noi no. E anche se voi vincete e prendete il potere, saremo contro di voi se non si soddisfano le richieste dei popoli indigeni"».

Quando Marcos parla di difesa della nazione messicana dagli attacchi della globalizzazione, lo fa riconoscendo che il Messico è un paese formato da una moltitudine di comunità indigene e anche meticcie, le quali devono essere rispettate attraverso il riconoscimento delle loro specificità storiche e culturali. Questo è di possibile attuazione esclusivamente attraverso l'autogoverno, di modo quindi che il Messico si fondi sul rispetto della libertà individuale e comunitaria.

Il rispetto dell'identità storico-culturale delle varie comunità, non trascende mai in Marcos nel classico e meschino nazionalismo borghese di stampo occidentale, dal momento che non auspica la chiusura delle comunità rispetto al mondo esterno, ma anzi, al contrario, pretende che esse si aprano di modo da poter eliminare certe fisime che in parte ancora li appartengono. Non a caso l'EZLN ha da sempre portato avanti importanti battaglie contro il sessismo, l'omofobia e la superstizione.

Il Subcomandante Marcos ha sempre dedicato particolare attenzione alla comunicazione con il resto del mondo; in questo modo ha impedito che la questione zapatista venisse emarginata come una questione meramente messicana. Per questo Marcos è stato uno dei primi ad attribuire una grande importanza alla tecnologia in genere, e ad Internet in particolare, strumento grazie al quale gli è stato possibile diffondere i comunicati dell'EZLN. Proprio nell'ottica internazionalista e comunicativa, che lo ha sempre contraddistinto, il 12 ottobre 2002 una sua lettera indirizzata a Ángel Luis Lara (alias el Ruso), nella quale definì "un pagliaccio grottesco" il giudice spagnolo Baltasar Garzón, per aver ritenuto infondate le accuse contro il tiranno Pinochet, riguardo a possibili violazioni dei diritti umani contro cittadini spagnoli, scatenò, sui media nazionali e internazionali, un polemico botta e risposta con il giudice spagnolo.

Marcos è inoltre un fine scrittore: oltre ai comunicati indirizzati sempre a tutti i popoli del mondo, è l'inventore letterario di due personaggi: il vecchio Antonio e Don Durito della Lacandona. Il primo simboleggia il lato indigeno della sua cultura, il secondo è invece l'espressione della cultura occidentale, uno scarafaggio che pensa di essere una sorta di Don Chisciotte e per questo tratta lo stesso Marcos come fosse il suo scudiero.Il vocero ha recentemente instaurato stretti rapporti letterari con numerosi scrittori sudamericani, tra i quali Paco Ignacio Taibo II e Manuel Vázquez Montalbán.

«...alle 2:10 il Subcomandante Insurgente Marcos scende per sempre dal palco, si spengono le luci e dopo si ascolta un'onda di applausi degli aderenti alla La Sexta, seguita da un'onda più grande di applausi delle basi d'appoggio zapatiste, miliziani e insurgentes. Alcuni minuti dopo, si ascolta la voce in off di quello che fu il Subcomandante zapatista: "Buone albe, compañeros, compañeros y compañeroas, io mi chiamo Galeano, Subcomandante Insurgente Galeano, mi hanno detto che quando sarei tornato a nascere lo avrei fatto in collettivo"»

Dopo l'assassinio dello zapatista Galeano, ucciso il 2 maggio 2014 da un gruppo di paramilitari nella comunità zapatista di La Realidad, il Subcomandante Marcos, durante l'omaggio reso alla vittima il 25 maggio del 2014, ha annunciato durante il suo ultimo discorso che da quel momento avrebbe cessato di esistere come personaggio pubblico perché

«Marcos, il personaggio, non era più necessario. La nuova tappa della lotta zapatista era pronta»

Aggiungendo che

«è nostra convinzione e la nostra pratica che per rivelarsi e lottare non sono necessari né leader né capi, né messia né salvatori; per lottare c'è bisogno solo di un po'di vergogna, una certa dignità e molta organizzazione, il resto o serve al collettivo o non serve».

Marcos, che da dicembre 2013 aveva trasferito il ruolo di Subcomandante al Tenente Colonnello Moyses, ha poi raccontato il perché della necessità che nascesse il suo personaggio, all'alba del gennaio 1994, quando

«un esercito di giganti, cioè, di indigeni ribelli, scese in città per scuotere il mondo. Solo qualche giorno dopo, col sangue dei nostri caduti ancora fresco per le strade, ci rendemmo conto che quelli di fuori non ci vedevano. Abituati a guardare gli indigeni dall'alto, non alzavano lo sguardo per guardarci; abituati a vederci umiliati, il loro cuore non comprendeva la nostra degna ribellione. Il loro sguardo si era fermato sull'unico meticcio che videro con un passamontagna, cioè, non vedevano. I nostri capi e cape allora dissero: "vedono solo la loro piccolezza, inventiamo qualcuno piccolo come loro, cosicché lo vedano e che attraverso di lui ci vedano"».


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Sono un anarchico. Anche l'idea di una “società” che governa il mio stile di vita mi fa un po' vomitare. I tuoi bisogni non sono i miei bisogni, non voglio andare dove il collettivo vuole portarmi...

…Voglio essere liberato dal sistema, non diventare il sistema. Il collettivo non è il mio padrone. Il collettivo è in realtà solo un altro stato, per quanto ben impacchettato.

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Maggiore è il numero di mezzi con cui le persone possono agire, più facile diventa l'attacco e più difficile diventa la difesa.

È una semplice questione di complessità. L'attaccante deve scegliere solo una linea di attacco, il difensore deve proteggersi da tutte. Questo non è vero solo per le piccole porte di scarico termico, è vero nei nostri ecosistemi software oggi e in qualsiasi altro sistema con molte dimensioni di movimento.

Complessità, più gradi di libertà all'interno di un sistema, consentono una maggiore superficie di attacco. Quando possono provenire non solo da tutti i punti cardinali, ma anche dall'alto e dal basso.

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Ogni invenzione umana espande nell'immediato il numero dei mezzi che abbiamo per agire. E intrecciata con tale libertà è naturalmente arrivata una maggiore capacità distruttiva...

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demo- : una forma combinata che ricorre nei prestiti linguistici dal greco, dove significava “persone”.

-crazia : una forma combinata che ricorre in prestiti linguistici dal greco, con il significato di "governo" o "organo di governo".

Quindi democrazia significa letteralmente: "governo del popolo". O più specificamente, la maggioranza delle persone...

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Pëtr Kropotkin è stato un rivoluzionario anarchico russo (possiamo considerarlo uno dei "padri fondatori" dell'anarchismo), ma anche uno scienziato e un filosofo. Il suo è però un pensiero poco conosciuto, pur essendo ricco e fecondo. La sua vita e la sua collocazione politica hanno probabilmente contribuito a metterlo in ombra, al punto che è praticamente ignorata anche la sua intensa opera geografica (a Kropotkin dobbiamo l'esatta conoscenza dell'orografia asiatica e delle varie fasi dell'era glaciale in Europa; compì infatti diverse esplorazioni nella prima parte della sua vita) così come il suo notevole contributo all'antropologia e all'etologia.

La prospettiva anarchica sull'IA: una prospettiva diversa sul futuro dell'intelligenza artificiale

L'Intelligenza Artificiale (IA) ha il potenziale per rivoluzionare il modo in cui viviamo e lavoriamo, ma sono tutte buone notizie?

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Manifesto di un Dissidente Digitale

Sono Il Dissidente Digitale, pseudonimo di uno scrittore e attivista anonimo. Credo che lo sviluppo e la diffusione dell'intelligenza artificiale debbano essere democratizzati, decentralizzati e guidati da principi di autonomia, autodeterminazione e aiuto reciproco. Respingo la concentrazione del potere e del controllo nelle mani di un piccolo gruppo di attori, come le grandi aziende tecnologiche e i governi.

Sostengo modelli alternativi di sviluppo open source basati sui beni comuni e rifiuto la natura proprietaria dei sistemi di intelligenza artificiale e l'uso di brevetti e altre leggi sulla proprietà intellettuale per controllare l'accesso alla tecnologia. Credo che l'intelligenza artificiale dovrebbe essere utilizzata per potenziare individui e comunità, piuttosto che essere utilizzata come strumento di oppressione e controllo.

Scrivo per sfidare lo status quo e aumentare la consapevolezza sui pericoli dell'IA. I miei articoli sono sia informativi che divertenti e ti invito a unirti a me in questo viaggio mentre lavoriamo insieme per promuovere un mondo più equo e autonomo.

In Difesa Della Civiltà Occidentale

L'indiano d'America ha perso la guerra dei fucili ma ha vinto di default la guerra dei simboli. Per le generazioni distratte dalla modernità, la cultura dei nativi americani è arrivata a rappresentare la vita semplice e profonda che questa terra offriva prima che la tecnologia rovinasse tutto. Così tanti aspiranti poeti, laureati in antropologia e persino poche persone di buon senso hanno fatto pellegrinaggi agli stregoni che gli indiani ora parlano di una nuova tribù: i Wannabees. Immagino che tra i ranghi ci siano anche molti ambientalisti, e va bene. Quando gli ideali delle persone appassionate iniziano a diventare maggiorenni, gli aspetti della storia vengono reinterpretati, enfatizzati, romanticizzati. E va bene anche questo: romanticizzare la natura indica un disorientamento metafisico, ma romanticizzare le persone è probabilmente inevitabile e suggerisce una sana visione della vita... La mia esperienza è che solo le persone molto avare non amano gli eroi.

Un Manifesto Radical Chic

Benvenuto, caro lettore, a un manifesto che promette di cambiare tutto e non realizzare nulla.

Siamo gli anarchici di sinistra radical chic, e siamo venuti per salvare il mondo da se stesso. O, almeno, lamentarsene.

In questo nostro mondo, dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, dove le corporazioni regnano sovrane e i governi non sono che semplici burattini, è difficile non provare un senso di disperazione.

Ma non temere! Perché siamo venuti per offrire una soluzione che garantisce di peggiorare le cose!