Le idee di Proudhon non sono le nostre idee, non sono state nemmeno sempre sue. Hanno combattuto in lui e così spesso si sono distrutte a vicenda che la sua mente è definita il luogo d'incontro dei contraddittori. Avendo capito molto, questo grande oratore non è stato in grado di mettere tutto in ordine.

Prefazione

Se dalla bussola del quadrante politico eliminiamo del tutto l'asse autoritario, in questa visione si potrebbe vedere il collettivismo a sinistra e l'individualismo a destra, indi non potrebbe esservi nessuna politica se non quella di sinistra (la polis), e la destra più che essere una proposta politica sarebbe unicamente la difesa di interessi. Ma anche in questo caso, l'esistenza degli esseri umani e dei gruppi di persone non possono essere soltanto decisi della politica, ma è necessario essere padroni della propria esistenza e al contempo essere diretti fautori della realtà che vogliamo vivere, ergo: "comunità sana fa individuo sano come individuo sano fa comunità sana". Quale altra equazione potrebbe essere un'affermazione più anarchica?

Forse ad oggi, le pratiche legate al mutualismo a livello locale sono una delle forme meno utopiche sia di anarchia che di socialismo, e se ai tempi dell'Internazionale furono ragione di rottura tra anarchici e socialisti, nel ventunesimo secolo la riscoperta di alcuni concetti si scoprirebbe essere un nuovo punto d'incontro tra i due mondi, sensibilmente ancora distanti, ma che meriterebbero di confrontarsi su tematiche più odierne.

In filosofia oltre alla via della verità (che dobbiamo imparare e seguire) e della falsità (che siamo tenuti a conoscere, ma non a percorrere), Parmenide sembra alluda anche ad una terza via, là dove scrive: «eppure anche questo imparerai: come l’esistenza delle apparenze sia necessario ammetta colui che in tutti i sensi tutto indaga».

Come se Parmenide alludesse ad una via mediana, quella cioè dell'opinione (doxa) plausibile. Si tratta della via dei fenomeni e delle apparenze, ovvero di quella realtà che la natura nella quotidianità ci mette davanti agli occhi. Infatti abbiamo sempre a che fare con i fenomeni, che ci confermano l’esistenza del divenire e della molteplicità.

La Terza Via in gergo politico si riferisce a diverse posizioni trasversali impegnate nell'elaborazione di una moderna posizione intermedia tra destra e sinistra, ma da non confondere con il centrismo (termine riconducibile ad un concetto maggiormente ampio), al fine di individuare un efficace compromesso di giustizia sociale, pari opportunità, valorizzazione del merito, dell’iniziativa privata, tra le politiche economiche laissez-faire e quelle interventiste.

Nell'epoca moderna è ritornata in auge dall'esigenza di analizzare compiutamente gli esiti delle politiche economiche di stampo keynesiano, che avevano precedentemente generato dubbi a causa di un eccessivo interventismo da parte dello Stato da parte dei regimi socialisti, e quelle neoliberiste sviluppatesi a partire dagli anni ottanta del ventesimo secolo, in una fase ormai avviata alla globalizzazione.

Tale concezione include politiche che riconoscono gli individui di un contesto sociale quali socialmente interdipendenti e si promuoveva in difesa della giustizia sociale, della coesione sociale, l'eguaglianza di tutti i cittadini e le pari opportunità.

Questa terza via rifiuta la concezione tradizionale del socialismo, ma accetta altresì quella presentata come una dottrina etica che vede le varie comunità come acquisitrici di un socialismo etico autosufficiente grazie alla rimozione di elementi non giusti del capitalismo grazie all'incentivazione di politiche come quelle di benessere e molte altre simili, basandosi sull'idea che il socialismo moderno ha superato la fase marxista della lotta per l'abolizione del capitalismo.

La terza via è stata spesso oggetto di critiche da parte di conservatori e libertari, che si fanno invece difensori del vecchio capitalismo. Non mancano dissensi anche da socialdemocratici, socialisti democratici e comunisti, i quali, questi ultimi in particolare, vedono questa come una "distruzione" dei valori della sinistra.

Questo termine è spesso confuso con la Terza Via fascista, quella posizione economica tipica delle ideologie di "estrema destra" che cerca invece un'alternativa, piuttosto che una conciliazione, tra forze politiche antagoniste, quali marxismo e capitalismo: tra queste configurano corporativismo, socializzazione, autarchia, protezionismo e fiscalità monetaria (che nonostante ciò, non sarebbero pratiche da condannare ove svolte in un "regime" volontarista e privo di coercizione come una libera comunità a tutela dei propri equilibri).

Proudhon è un pensatore anarchico scomodo, condannato a un immeritato oblio. Questo non per suoi demeriti, o perché sia considerato ambigua la sua linearità con il pensiero anarchico, quanto più perché sono stati in tanti anarchici a dichiarare di sostenere il suo pensiero, ma molti meno gli anarchici che hanno voluto veramente approfondirlo, un pensiero ostico al perbenismo e al modo di pensare relativista della società consumistica moderna. È un pensatore scomodo in quanto promotore dell'humus di una terza posizione tra destra e sinistra, al contempo è conosciuto come "il primo anarchico" in quanto fu il primo ad usare tale epiteto per definire la sua idea politica, in quanto "grande amante dell'ordine" (enantiosemia).

Nato a Besancon, in un primo tempo lavorò in una tipografia, poi, nel 1840, pubblicò la prima memoria sulla proprietà (Che cos'é la proprietà?), dedicata all'Accademia di Besancon che la sconfessò, nel 1841 la seconda memoria, dedicata a Blanqui (che sarà esponente politico del movimento socialista nel governo provvisorio del 1848, sostenitore di una politica in cui il giacobinismo era commisto al marxismo), e nel 1842 la terza, immediatamente sequestrata. Accusato di attentato alla proprietà privata e alla religione e di incitamento all'odio per i governi, fu assolto; nel 1844 a Parigi entrò in contatto con Bakunin e Marx, quest'ultimo però tuttavia ruppe ben presto i rapporti. Nel 1846 pubblicò il Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria, a cui Marx non tardò a rispondere con la Miseria della filosofia.

Nel 1848 Proudhon prese parte alla rivoluzione, fu redattore del giornale Le Représentant du Peuple e venne eletto nell'Assemblea costituente, ma l'anno successivo, avendo attaccato Luigi Bonaparte (il futuro Napoleone III), fu condannato a tre lunghi anni di prigione.

Nel 1851 pubblicò la Filosofia del progresso e, nel 1859, Sulla giustizia considerata nella rivoluzione e nella Chiesa. Anche quest'opera, forse la sua più importante, fu immediatamente sequestrata ed egli fu di nuovo condannato a tre anni di prigione. Per evitarla si rifugiò a Bruxelles e solo nel 1862 tornò in Francia. Tra i suoi ultimi scritti vanno ricordati La guerra e la pace (1861) e Sul principio federativo (1864).

La summa del suo pensiero politico si trova nell'opera Sul Principio Federativo, pubblicata nel 1864, pochissimi anni prima di morire. In essa definisce il federalismo come teoria dello stato basato sul contratto politico (o di federazione). Afferma che lo stato, per essere coerente con il suo principio, deve equilibrare nella legge l'autorità con la libertà e che questo si ottiene ponendo a perno del loro equilibrio il contratto politico o di federazione fra le persone responsabili. Potrebbe essere questa la "religione civile dell'umanità" per i prossimi secoli. È cosiderato il padre del federalismo integrale.

Nella Célébration du Dimanche definì la proprietà privata come l'ultimo dei falsi dèi, in quanto è un ostacolo all'uguaglianza fra gli uomini, cioè alla giustizia. In Che cos'é la proprietà? scrive poi la sua famosa frase, apprezzata anche da Marx: "la proprietà privata è un furto!". In realtà ciò che Proudhon vuole combattere è soltanto la proprietà come mezzo di sfruttamento di altri uomini: i mezzi di produzione e la casa da abitare devono appartenere a chi li adopera, finché li adopera ("la casa è di chi l'abita", dirà più tardi un famosissimo canto anarchico).

Nella sua forma di governo ideale, egli rifiuta la presenza di uno stato perché considerato un'istituzione assurda, finalizzata semplicemente allo sfruttamento del lavoro altrui da parte di alcuni uomini. Egli rifiuta ogni tipo di potere al di sopra dell'individuo, ivi compreso Dio che, in ambito religioso, è esattamente come lo stato in ambito politico e la proprietà in quello economico: istituzioni illegittime finalizzate al controllo degli altri uomini ed al loro sfruttamento.

"L’anarchia è una forma di governo o di costituzione nella quale la coscienza pubblica e privata, formata dallo sviluppo della scienza e del diritto, basta da sola a mantenere l’ordine ed a garantire tutte le libertà."

Per altri aspetti fu conservatore, ad esempio si dichiarò favorevole alla sottomissione della donna all'uomo e si scagliò contro le cosiddette perversioni sessuali.  Se ve lo state chiedendo sì, era contro l'"usura", con tutto ciò che ne conseguiva in quel contesto storico e culturale.

Figlio della rivoluzione francese, criticava aspramente il sistema capitalistico legato alla privatizzazione pur sostenendo l'utilità di un libero mercato di scambio alternativo al liberismo, e proponeva al contempo un "socialismo libertario" che andava in contrasto con la mediocrazia darwiniana proposta da Marx ed Engels in quanto secondo lui "lesiva della libertà individuale, della competitività naturale e della sovranità popolare". Si poneva contrario all'intervento dello Stato sull'economia, differenziando il "possesso" di un bene o di un servizio liberamente acquisito dalla "privatizzazione" dei mezzi e delle risorse di produzione, che riteneva "un furto", ritenendo dovessero essere totalmente gestiti dai lavoratori e dai produttori.

Nei suoi primi lavori Proudhon analizzò la natura e i problemi dell'economia capitalistica e le sue critiche non si limitarono solo al capitalismo, ma riguardarono anche la visione socio-economica dei socialisti suoi contemporanei. Da Che cos'è la proprietà? alla pubblicazione postuma di La teoria della proprietà, dichiarò che "la proprietà è un furto", "la proprietà è insostenibile", "la proprietà è dispotismo" e "la proprietà è libertà". Quando infatti disse "la proprietà è un furto", si riferiva ai possidenti terrieri e ai capitalisti i cui proventi considerava come furti nei confronti dei lavoratori. Per Proudhon il lavoratore di un capitalista è "subordinato, sfruttato: la sua condizione permanente è di obbedienza".

Nell'affermare che "la proprietà è libertà", si riferiva invece non solo al prodotto del lavoro individuale, ma anche a quello di contadini e artigiani che ricavano beni dalla vendita dei propri servizi e del proprio surplus. Per Proudhon l'unica e legittima fonte di proprietà è il lavoro. Quello che chiunque può produrre è di sua proprietà: invocava l'indipendenza dei lavoratori e condannava la proprietà capitalistica dei mezzi di produzione. Rigettò strenuamente alla pari il possesso dei mezzi di produzione da parte della società intera, sostenendo in Che cos'è la proprietà? che "tutto il capitale sociale accumulato, non è di esclusiva proprietà di nessuno".

Proudhon perciò non approva che la società possegga tutti i mezzi di produzione o tutti i beni terrieri, ma propone piuttosto che chi ne fruisce li possegga ma sotto un controllo da parte della società tramite le regolazioni di mercato.

Proudhon si definì socialista ma si oppose al possesso da parte dello Stato dei beni in favore di una proprietà da parte dei lavoratori stessi, organizzati in associazioni. Ciò ne fece uno dei primi intellettuali del socialismo libertario (ai tempi un ossimoro) e gli procurò grande influenza nella teorizzazione di un possibile sistema autogestionale. Chiamò questo concetto etico di fruizione-proprietà, "possesso" per differenziarlo dalla "privatizzazione", e questo sistema economico "mutualismo".

Proudhon aveva molte critiche alla proprietà di terre e capitali, incluse critiche morali, economiche, politiche e di libertà individuale. In una di queste critiche afferma che la proprietà crea profitto, genera instabilità e induce a circoli di debiti che superano la capacità di produzione, spingendo ad aumentare la crescita all'infinito. Un'altra critica afferma che la proprietà crea squilibri sociali e fenomeni di dispotismo che si ritorcono contro i lavoratori stipendiati, soggetti all'autorità illegittima dei datori di lavoro.

Marx contestò l'idea di Proudhon secondo la quale «il valore del lavoro è un'espressione figurata», asserendo che il valore della forza-lavoro è un fattore imprescindibile nella produzione delle merci e non una semplice idealizzazione.

Cercle Proudhon

Molti anarchici hanno rifiutato l'interpretazione di Cercle Proudhon delle opere di Proudhon. Ad esempio, l'anarco-comunista russo Peter Kropotkin ha sostenuto che Cercle Proudhon ha volutamente travisato le opinioni di Proudhon.

Il Cercle Proudhon fu un think tank emerso dal movimento nazionalista monarchico (Action Française presieduto da Charles Maurras) rappresentato da Georges Valois. L'ambizione era quella di "convertire i sindacalisti alla monarchia". Il primo incontro si tiene il 17 novembre 1911. Questa esperienza effimera fu un evidente fallimento, ma non ne è da sottovalutare l'eredità storico culturale.

In origine "il Circolo è stato fondato da nazionalisti, e inizialmente si rivolgeva solo a loro". Le sue riunioni hanno riunito in media solo una ventina di persone, principalmente monarchiche, e qualche "pecora smarrita", poiché "passano le settimane e non arrivano i sindacalisti attesi". La loro pubblicazione iniziò nel gennaio 1912 e cessò nell'estate del 1914. Tra i principali oratori vi era Édouard Berth, amico di Georges Sorel, per quanto Sorel fosse ostile a questo Circolo e temeva che avrebbe reso "i giovani meno capaci di capire Proudhon").

Nel suo libro L'Action française et la religion catholique (1913), Maurras spiega come e su quali basi fu fondato il Cercle Proudhon ad Action Française:

“I francesi che si unirono per fondare il Cercle Proudhon sono tutti nazionalisti. Il capo che hanno scelto per la loro assemblea li ha fatti incontrare altri francesi, che non sono nazionalisti, che non sono realisti, e che si uniscono a loro per partecipare alla vita del Circolo e alla scrittura dei Cahiers. Il gruppo iniziale comprende uomini di varia origine, di condizioni diverse, che non hanno aspirazioni politiche che formeranno una comunità che esporranno liberamente le loro opinioni nei Cahiers. Ma i federalisti repubblicani, sindacalisti integrali e nazionalisti, avendo risolto il problema politico o allontanandosi dal loro pensiero, sono tutti ugualmente appassionati dell'organizzazione della Città francese su principi mutuati dalla tradizione francese, si ritrovano nell'opera proudhoniana e nel contemporaneo movimento sindacalista…”

I primi fascisti e nazionalsocialisti?

Nel suo saggio, L'Ideologie française, Bernard-Henri Lévy ritiene che fu al Cercle Proudhon che si sviluppò l'ideologia del nazionalsocialismo. Anche lo storico israeliano Zeev Sternhell ritiene che il Cercle Proudhon e Georges Sorel, in particolare, siano all'origine del corpus ideologico fascista. In Storia delle idee politiche, Philippe Nemo ricorda che molti socialisti sono passati al fascismo, in particolare Mussolini, ma anche Marcel Déat, Jacques Doriot, Henri de Man, e che,

«quando il fascismo trionferà in Italia, gli ex membri del Circolo Proudhon dichiareranno di essere stati i primi fascisti e nazionalsocialisti prima della guerra»

Questa tesi del "prefascismo" è contestata da Alain De Benoist nella sua prefazione alla nuova edizione dei Cahiers du Cercle Proudhon e nel suo testo Le Cercle Proudhon, tra Édouard Berth e Georges Valois che sottolinea il suo dogmatismo, in particolare quando è applicato a persone, come Édouard Berth, che hanno sempre condannato il fascismo.

Viene contestata anche da Stéphane Giocantiche il quale sottolinea che, come l'Action Française, il Circolo è decentralizzante e federalista, e insiste sul ruolo della ragione e dell'empirismo; è lontano dall'irrazionalismo, dalla giovinezza, dal populismo, dall'integrazione delle masse nella vita nazionale che caratterizzerà le ambizioni del fascismo, gonfiati dalle conseguenze sociali della guerra.

Relazione con Charles Maurras

Tuttavia, Charles Maurras fece in modo che il Cercle Proudhon non fosse integrato nell'Action Française: rifiutò il legalismo contrattualista di Proudhon, che per lui rappresenta un punto di partenza piuttosto che una conclusione:

"Proudhon, che iniziò con la dottrina realistica e tradizionale, ma non esiterò a dare questo consiglio a chi ha conosciuto le nuvole dell'economia liberale o collettivista, che ha posto il problema della struttura in termini legali o metafisici sociali, ha bisogno di trovare esseri viventi sotto il sofisticato o segni sofisticati! C'è in Proudhon un forte gusto per le realtà che può illuminare molti uomini."

Inoltre, Maurras non condivide né il nietzscheanesimo di Valois, né la febbre di Lagrange che scaccerà dall'Action Française.

Nonostante il misurato sostegno che dà a questo circolo di intellettuali diversi e indipendenti, Charles Maurras mantiene una posizione più vicina a quella di René de La Tour du Pin; Maurras non gradisce a Georges Sorel ed Édouard Berth il processo sistematico della borghesia dove vede un possibile appoggio. Alla lotta di classe, Maurras preferisce opporre, come in Inghilterra, una forma di solidarietà nazionale di cui il re può costituire la chiave di volta. Contrariamente alla politica di massa, aspira allo sviluppo di organismi intermediari liberamente organizzati e non statali, l'egoismo di ciascuno volge a beneficio di tutti. Maurras è in linea con il cattolicesimo sociale e con il magistero della Chiesa, ma rientra anche in una strategia politica per strappare alla sinistra la presa sulla classe operaia.

La Terza Via Sansepolcrista

Il 23 marzo 1919 futuristi, nazionalisti, sindacalisti rivoluzionari, reduci della prima guerra mondiale ed altri fautori della nascita di un nuovo sistema politico alternativo ai vigenti, si riunirono a congresso a Milano in piazza San Sepolcro, elaborando un programma dal quale nacque il fascismo; dalla piazza in cui si tenne la riunione, il movimento prese il nome di sansepolcrismo.

Tale visione come già anticipato, si differenzia dal mutualismo e dalla terza via di Proudhon poiché cerca di proporre un'alternativa, piuttosto che una conciliazione, tra forze politiche antagoniste, esattamente come il nazionalismo è un principio divisorio a differenza del patriottismo che si distingue in quanto principio unitario.

La constatazione di partenza dei sansepolcristi fu che le monarchie liberali, le socialdemocrazie e le democrazie governanti in Europa fossero plutocrazie corrotte e decadenti, governate da sistemi colpiti da derive partitocratiche e massoniche. Obiettivo dei congressisti fu un sistema politico basato su principi di democrazia organica.

Il più rilevante difetto che riscontrarono nella democrazia sarebbe il paradosso insito in sé stessa, ovvero: se la maggioranza delle persone desiderasse un governo antidemocratico, la democrazia democraticamente cesserebbe di esistere. Tuttavia, se a tale estinzione la democrazia si opponesse, cesserebbe di essere democrazia in quanto andrebbe contro alla volontà della maggioranza. Quindi i sansepolcristi sostenevano che in pratica la democrazia non può esistere, e che è solo una teoria utopica. Per entrambi i casi dell'esempio, si citarono come validi gli esempi dei colpi di stato di tipo sudamericano, anche allora esistenti.

In secondo luogo si puntualizzò un fattore semantico, nella loro visione troppo spesso volutamente frainteso: le parole "democrazia" e "libertà" non sono sinonimi.

Molto spesso, sostennero, il travisamento della semantica porta a pensare che gli antidemocratici siano contrari alla libertà. In realtà si presume che nessuno si dica contrario alla libertà (se non in ambito restrittivo giudiziario). In un sistema può del resto esserci democrazia senza libertà, come può esserci libertà senza democrazia.

Quindi, secondo i sansepolcristi, le dittature di tipo sudamericano altro non sono che fasi in cui democraticamente la maggioranza della popolazione desidera che il sistema democratico venga sospeso nel suo aspetto partitico.

Questo carattere viene ripristinato allorquando democraticamente la maggioranza pende nell'altro senso. Una simile prospettiva non avrebbe dovuto rendersi necessaria per la nascente "Terza via": questa si imposta sul superamento del sistema partitocratico nella consapevolezza che per i problemi di una nazione non esistano soluzioni valide l'una quanto l'altra a seconda dei punti di vista (o meglio: del punto di vista del partito a cui si appartiene), ma soltanto una migliore di tutte.

La terza via, secondo i suoi fondatori, avrebbe dovuto rappresentare una forma di governo al di sopra delle divergenti opinioni dei partiti. Questo certamente contrasta con la creazione di un partito, quale il congresso si propose alla fine. Ma essendo esso inserito in una nazione avente sistema partitico, un simile ente, un partito, era necessario onde poter ottenere il potere, salvo poi smantellarlo una volta assestato.

In effetti, in uno Stato come l'Italia, i poteri erano, allora come oggi, molti e diversificati, il che impediva un accentramento del potere in una sola persona.

La proposta scaturita dal congresso di piazza San Sepolcro non si considerava quindi una crociana esigenza temporanea, ma a tutti gli effetti un nuovo sistema politico a sé stante. Essi ritennero di aver finalmente creato la terza via, la soluzione ai problemi sociali creati dal capitalismo e a quelli di diritto e di ordine pubblico creati dal comunismo. Una via applicabile in ogni luogo e ogni tempo.

Tradimento degli ideali

Come è noto tuttavia il modo in cui il Partito nazionale fascista governò l'Italia nel ventennio ben poco coincise con gli ideali proposti nel congresso di San Sepolcro.

Spesso questo viene addebitato proprio al freno posto da quei poteri (la monarchia dei Savoia, l'Alta finanza, la massoneria, la Chiesa cattolica, i militari, la borghesia) verso i quali il fascismo aveva un debito di riconoscenza per averlo inizialmente favorito come scudo contro il bolscevismo.

Solamente nella sua fase crepuscolare della Repubblica Sociale Italiana, una volta fuori gioco molti di quei poteri ostracisti, si poterono riproporre argomentazioni più ardite, ma a causa delle vicende della seconda guerra mondiale quasi nulla fu possibile sperimentare.


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