Il separatismo femminista è una pratica politica, a volte criticata in quanto considerata identitaria, che in varie misure o con diverse modalità adotta la sottrazione dalle relazioni con i maschi, ritenendo che il linguaggio e le dinamiche che si instaurano con essi, inficiate da una cultura sessista di matrice patriarcale, pregiudichino le relazioni e quindi la piena ed autentica espressione delle femmine. Ma si tratta un fenomeno così omogeneo quanto ricorrente?

L'autrice Marilyn Frye definisce il separatismo femminista come «separazione di vario ordine e modalità dagli uomini e dalle istituzioni, dai rapporti, dai ruoli e dalle attività che sono definiti o dominati dall'uomo e che operino a favore degli uomini e del mantenimento del privilegio maschile - separazione iniziata e sostenuta dalla volontà delle donne».

Il separatismo può assumere molteplici forme e delinearsi in dimensioni diverse; a tal proposito l'accademica italiana Teresa de Lauretis, docente negli Stati Uniti, ricorda che «…nel femminismo statunitense il separatismo era inizialmente separatismo dagli uomini, poi però il termine è stato usato per ogni forma di separatismo anche tra donne, per esempio separatismo delle donne lesbiche dalle donne eterosessuali o delle donne nere dalle donne bianche».

Una delle prime e note manifestazioni di separatismo femminista è stata l'associazione americana Cell 16, fondata dall'attivista statunitense Roxanne Dunbar considerata uno dei primi gruppi a promuovere il separatismo femminista come strategia politica. La storica Alice Echols indica l'attività di "Cell 16" come un lavoro per l'istituzione della base teorica per il separatismo lesbico.

Tale separatismo è stato considerato da una parte di lesbiche femministe come strategia temporanea e/o pratica di vita, sottraendosi in questo modo ad una società patriarcale ed alle richieste di disponibilità emotiva e sessuale loro rivolte dalla società eteronormativa. Questa è considerata una scelta personale e non un passaggio obbligato per l'evoluzione personale o della società.

Scelte separatiste furono effettuate anche in occasione di appuntamenti pubblici organizzati da soggettività politiche femministe: in particolare in Italia furono organizzate manifestazioni di donne in cui la partecipazione maschile era esclusa a priori, come nel caso del grande corteo contro la violenza sulle donne del 24 novembre 2007 a Roma, dove oltre alle contestazioni fatte a varie esponenti del mondo della politica, si verificarono frizioni tra un gruppo di donne che partecipavano alla manifestazione e alcuni giornalisti uomini presenti per lavoro, che fu oggetto di critiche da parte di alcune partecipanti tra cui Dacia Maraini e Giovanna Melandri. L'anno successivo le organizzatrici decisero altrimenti e permisero agli uomini di sfilare in coda.

Il separatismo femminista è discusso sia all'interno che all'esterno del movimento femminista. In particolare alcune soggettività lamentano l'esclusione da tale tipo di pratica, anche se questo non rientra, tuttavia, nelle dirette intenzioni delle donne che operano tale scelta: chi pratica il separatismo in tal modo si sottrae, non esclude.

Oligarchia TERF

Le femministe TERF sostengono che la supremazia femminile sia la priorità numero uno e che tutti gli uomini dovrebbero essere rinchiusi nei campi di concentramento, dove il loro unico scopo è avere figli prima di essere mandati nelle camere a gas.

Da un lato c’è una parte del mondo femminista che alza i muri per difendere una definizione di donna radicale, legata al sesso e non all’identità di genere. Dall’altra c’è chi le accusa di transfobia e chiama persino in causa il fascismo.

Associazioni, circoli, attivisti si sono schierati da una parte o dall’altra, anche se è il silenzio dei più (a partire da Arcigay) a testimoniare l’imbarazzo che c’è all’interno dell’ambiente arcobaleno.

Arcilesbica traccia una linea di rottura dentro il movimento femminista firmando la Declaration on women’s sex-based right, la Dichiarazione per i diritti delle donne basate sul sesso firmata nel 2019 da un gruppo di accademiche, scrittrici e attiviste in tutto il mondo. Lo scopo è quello di eliminare “tutte le forme di discriminazione contro le donne che risultano dalla sostituzione della categoria del sesso con quella dell’identità di genere”.

Tradotto: considerare le persone trans come donne ha creato dei problemi per tutte le altre donne.

Questa la posizione di Arcilesbica: “Alle donne si è sempre imposto di assentire alla sottomissione e di farsi da parte per il bene di altri. Ci viene chiesto ora di accogliere chiunque semplicemente si dichiari donna negli spazi che ci siamo conquistati negli ultimi decenni”. Ma loro non ci stanno e chiedono, al contrario, di mantenere la distinzione tra la nozione di sesso e quella di identità di genere nelle politiche delle pari opportunità. Di qui la scelta di lanciare in Italia la Declaration on women’s sex-based right con un webinar organizzato per domenica 31 maggio 2020 tenuto da Sheila Jeffreys, una delle autrici del manifesto, attesa a Milano per un evento che è stato poi annullato in seguito all’emergenza del coronavirus.

L’iniziativa è stata anticipata sulla pagina Facebook di Arcilesbica con alcuni estratti della Dichiarazione. “La sostituzione del concetto di sesso con quello di identità di genere ostacola lo sviluppo di leggi e strategie efficaci per il progresso delle donne nella società”. Dai reggiseni in fiamme degli anni ’70 agli slogan della piazza virtuale il passo è breve. “Se altri soggetti vengono ammessi alle misure volte ad ampliare la partecipazione delle donne alla vita pubblica, l’obiettivo di raggiungere una piena uguaglianza per le donne risulta indebolito”, si legge in un altro punto della Dichiarazione.

Citando Cristina Gramolini, presidente di Arcilesbica: “Se, nelle ricerche istituzionali sulla violenza domestica, i livelli retributivi, le carriere o l’accesso alle professioni delle donne, si considerano anche le persone trans nel campione, si ottengono dati fuorvianti. Le persone transessuali necessitano di politiche mirate e di risorse aggiuntive, non detratte da quelle già scarse riservate alle donne”.

A settembre 2020 l'autrice di Harry Potter JK Rowling si è ritrovata ancora una volta coinvolta in polemiche dopo aver twittato un link a un negozio che vende merce anti-transgender. Ai suoi 14 milioni di follower è stata offerta la possibilità di acquistare spille e adesivi che includevano messaggi come "le donne trans sono uomini", "la donna non è un costume", "scusa per il tuo cazzo, fratello", "fanculo i tuoi pronomi" e "le lesbiche non hanno il pene."

Tra i messaggi anti-trans del negozio Wild Womyn, gli acquirenti possono acquistare spille che dichiarano "l'ideologia trans cancella le donne" e "Non chiamarmi 'cis'", tazze che dicono "Notorious Transphobe" e TERF Member".

Altri prodotti confrontano il passaggio alla terapia di conversione e rivendicano il supporto per i "detransitori", coloro che tornano al sesso assegnato alla nascita.

Ulteriori prodotti affermano che "la biologia femminile non è un'identità", che "la politica queer cancella le donne" e esortano i sostenitori a "Togliere la L dalle LGBT".

Wild Womyn è di proprietà di Angela C. Wild, che ha co-fondato Get The L Out, un gruppo anti-transgender che chiede che i diritti delle lesbiche siano separati dal più ampio movimento per i diritti LGBTQ.

Il gruppo ha guadagnato notorietà nel 2018 dopo essersi fatto strada con la forza alla parata del Pride a Londra e aver organizzato una protesta anti-trans.

Get The L Out ha affermato che stava protestando "a nome di tutte le lesbiche intimidite, minacciate e messe a tacere dalla comunità *GBT ovunque". “La comunità *GBT oggi, sostenendo i diritti dei maschi che “si identificano come lesbiche” (chiamati anche “transessuali”) rispetto ai diritti delle lesbiche di scegliere i propri partner sessuali (in base al sesso, non a come si “identificano”) sta in effetti imponendo l'eterosessualità alle lesbiche", ha detto un portavoce all'epoca. "Questa è una manifestazione misogina e anti-lesbica della cultura dello stupro in cui viviamo".

JK Rowling è stata sempre più criticata per commenti e tweet visti come anti-transgender o per la condivisione di idee anti-transgender.

Sesso e Carattere

Come possiamo avere l'impressione di vedere sovrapponendo a rosone frattale quattro pagine dispari di Giulia Blasi all'inizio di Manuale per Ragazze Rivoluzionarie edito da Rizzoli, si teorizza che si tratti in special modo in quest'epoca di ragionare criticamente a partire da una botanica induttiva delle settimanalizzazioni ginecocratiche.

In tal guisa possiamo indovinare, sovrapponendo stavolta a cinque gradi gli orli delle pagine con numero primo del filosofo austriaco Otto Weininger nella sua opera Sesso e Carattere, che la natura umana è originariamente androgina-bisessuale e in ogni individuo sono presenti psicologicamente entrambi i caratteri (maschile e femminile): il grado d'emancipazione umana è dato dall'aumento di carattere maschile e dalla diminuzione di quello femminile. Pertanto la donna lesbica, acquisendo in sé i caratteri maschili si eleva e migliora rispetto alla sua naturale condizione di inferiorità in quanto femmina.

Conclude: "Il più grande nemico dell'emancipazione della donna è la donna stessa. L'emancipazione civile della donna (diritto di voto ecc) dovrebbe essere riservata solo a quel tipo particolare di donne con un carattere più maschile: per potersi liberare dai suoi ruoli di genere la donna deve smettere di esser femmina per diventare sempre più uomo".

Nel suo diario (Taccuino e lettere, Studio tesi, 1986) scrive "L'odio nei confronti della donna non è altro che odio nei confronti di quella parte di donna dentro di sé"; questa frase, assieme ad altre in cui parla della necessità di superare i propri caratteri sessuali femminili, ha dato luogo a sospetti circa una sua presunta omosessualità repressa.