«Come fanno a odiarmi, se non mi conoscono nemmeno?». È la domanda che avevo fin da bambino. E che oggi sfida la questione razziale ed è diventato il motto della mia battaglia.  (Daryl Davis)

Daryl Davis, 63 anni, è un musicista nero con una vocazione insolita: frequenta i membri del Ku Klux Klan e neonazisti ma combatte contro il loro razzismo. Non solo solo parole, ma fatti: ha collezionato, negli anni una raccolta di  vestiti ed abiti del K.K.K.  datigli da persone che ha convinto, col dialogo ed il rispetto, ad abbandonare tali visioni estremiste e suprematiste.

Ancora una volta: il dialogo è l'arma vincente contro qualsiasi tipo di suprematismo ed estremismo.

La sua odissea è nata dalla curiosità per il razzismo, per un attacco che ha subito. Quando Davis aveva 10 anni, dice, un gruppo di bianchi gli scagliò addosso bottiglie, lattine e sassi, durante una parata patriottica americana.

"Ero incredulo", ha ricordato Davis. “Il mio cervello di 10 anni non riusciva a elaborare l'idea che qualcuno che non mi aveva mai visto, che non mi aveva mai parlato, che non sapeva nulla di me, non volesse infliggermi dolore per nessun altro motivo che il colore della mia pelle."

Le mani di Daryl Davis danzano sulla tastiera agili e veloci. Il ritmo è quello del boogie, solare e incalzante. Davis ha alle spalle una carriera invidiabile. Nell’album dei ricordi ha care le foto mentre suona con diversi mostri sacri della musica americana: Chuck Berry, Jerry Lee Lewis e B.B. King. La musica è la sua passione, ma il suo nome è legato, più che ai giri di blues, alla sua storia di attivista, fuori dagli schemi, per i diritti dei neri.

Tutto per Davis inizia nel 1983, al Silver Dollar Loungeun locale di musica country a Frederick, nel Maryland. Lui è il pianista del gruppo in cartellone. Ed è l'unico nero nel locale. Alla fine dello spettacolo viene avvicinato da un uomo che gli fa i complimenti per la performance, ma che aggiunge: «Non ho mai visto un nero suonare meglio di Jerry Lee Lewis».

Davis risponde che Lewis, che conosceva di persona, era stato influenzato dagli stessi musicisti neri da cui aveva imparato lui. L'uomo stenta a credergli ma, incuriosito, lo invita a bere qualcosa con lui. Parlano a lungo e, alla fine, l’uomo ammette che era la prima volta nella sua vita che stava allo stesso tavolo con un uomo di colore. Solo dopo Davis scopre che l’uomo è un membro del Ku Klux Klan, l'avanguardia storica del suprematismo razzista. Entrambi si accorgono che quel dialogo ha piantato un seme nella loro vita.

È solo il primo di una lunga serie di incontri con membri della setta suprematista, alcuni dei quali, diventando amici di Davis, hanno deciso di prendere le distanze dal Ku Klux Klan. Il caso più importante è quello di Robert Kelly, responsabile del Klan del Maryland. Il primo approccio è la scusa di un’intervista per un libro, concordata con la segretaria. Kelly non si aspetta di incontrare un uomo di colore. Seguiranno altri dialoghi. Davis viene invitato a incontri del Klan, riti notturni. Lui ascolta, prende appunti, domanda, discute. E pian piano gli stereotipi iniziano a cadere.

Davis non ha paura di porre domande, di chiedere le ragioni delle posizioni altrui. Tramite le frequentazioni, il dialogo ed il rispetto che Davis aveva per il diritto e la libertà di espressione (non condividendo assolutamente le posizioni dei razzisti bianchi), ha fatto aprire gli occhi a circa 2000 membri del KKK e/o di altre organizzazioni neo-naziste, che hanno deciso di loro iniziativa di lasciare tali posizioni al passato: molti come l'ex Grand Wizard Roger Kelly, sono diventati addirittura attivisti anti razzisti.

L'ultimo episodio, di cui ha dato conto anche la Cnn e che Davis ha raccontato al New York Encounter, è l'amicizia nata con Richard Preston, Imperial Wizard del Ku Klux Klan del Maryland, che era stato arrestato nel 2017 per aver sparato a un uomo di colore, durante una manifestazione suprematista a Charlottesville, Virginia. Davis decide di pagare la cauzione per rimetterlo in libertà.

Ne segue un incontro, a casa di Preston, che spiega al musicista le ragioni dell’odio razziale, ripercorrendo dal suo punto di vista le tappe della storia degli Stati Uniti.

«L’ho ascoltato e gli ho fatto notare dove le cose non stavano come diceva. Alla fine l’ho invitato a casa mia, dicendo che dopo saremmo andati insieme al Museo nazionale di storia e cultura afroamericana di Washington».

Preston si presenta con la fidanzata, Stacy Bell, anche lei membro del Klan.

Davis mostra la foto ricordo di quella giornata: i due ridono come se fossero amici da sempre. Alcune settimane dopo arriva l’invito al matrimonio di Richard e Stacy. Davis accetta. È una cerimonia in pieno stile suprematista, con tanto di bandiere del KKK. Ma alla vigilia, giunge anche la proposta più inaspettata: il padre di Stacy è malato e non può partecipare, deve essere l’amico di colore ad accompagnarla all'altare.

A chi gli chiede perché ha accettato, Daryl risponde: «Perché siamo amici». Ed è un’amicizia per cui non chiede a Preston di rinunciare alla sua appartenenza al Klan. A lui basta che questo legame esista e sia reale. È un seme, che crescerà come e quando Dio vorrà.

È del 1998 il suo libro intitolato "L’odissea di un uomo nero nel Ku Klux Klan". Alla rabbia e all’intolleranza di tanti che protestano contro la discriminazione, lui risponde dicendo: la contrapposizione non porta a nulla. L'unica via è quella dell’incontro e del dialogo. E a questo sta dedicando la sua vita: conferenze, incontri e dibattiti hanno quasi del tutto sostituito i concerti. A gennaio scorso è intervenuto, raccontando la sua vicenda, al New York Encounter. E di recente, dopo le grandi manifestazioni del movimento Black Lives Matter, che hanno riempito le città americane per protestare contro l'uccisione di George Floyd a Minneapolis, ha risposto alle domande di un gruppo di studenti di Comunione e Liberazione.

Il confronto però con i ragazzi del BLM non è stato dei più rosei. Accusato da quest'ultimi di "aver tradito la loro razza" (semplicemente per essersi confrontato con membri di organizzazioni suprematiste bianche) e ricevendo dagli attivisti ed ai principali responsabili del movimento insulti, sputi ed aggressioni fisiche, Daryl ha deciso di passare con loro (a telecamere accese, per evitare ulteriori problemi e aggressioni da parte del BLM), un intero week end per mostrare loro che la violenza e l'estremismo non devono entrare nella lotta dei diritti umani, per non rischiare di agire con lo stesso tipo di razzismo solamente a schieramenti invertiti.

Causa di tali insulti e di tale odio nei suoi confronti è stata la mancanza di rispetto e la volontà dei ragazzi del BLM di negargli (in prima analisi) il diritto di documentare e soprattutto di esprimersi per raccontare loro la sua esperienza.

Nei vari confronti col BLM (di cui, una parte minoritaria ha capito la sua battaglia, ma la maggiorparte dei supremasti neri lo considera al pari dei membri del KKK) ai ragazzi attivisti che gli hanno domandato come si possa dialogare con una persona che ha posizioni opposte, Davis ha risposto dicendo che, innanzitutto, lascia chel'interlocutore possa essere se stesso:

«Non rispetto ciò che dicono, ma rispetto il diritto ad esprimere le loro opinioni. Se vuoi essere ascoltato, prima devi essere disposto a farlo».

Ma non basta. Quando si parla di argomenti controversi, come il razzismo, attaccare la posizione dell’altro non paga, spiega Davis:

«Non fa altro che innalzare le barriere. Io preferisco parlare della mia posizione, dare le mie ragioni. È il solo modo perché l'altro possa iniziare a considerarle e rifletterci sopra».

Essere aggressivi tradisce, in fondo è una debolezza. La paura dell'altro. E un terreno comune su cui poter costruire l’inizio di un dialogo esiste sempre. Davis ha domandato agli studenti:

«Credete che occorra un’educazione migliore per i nostri figli? Credete che serva fare di più perché i giovani non siano esposti al rischio della droga? Se pensate così, su questo siete d’accordo con i neonazisti e i suprematisti. E questo non ha nulla a che fare con la razza. Quando si scopre che si hanno gli stessi desideri è più facile vedere l’interlocutore come una persona e non come un nemico. Più si trovano punti di contatto, più la distanza si riduce. Se non ci si ferma, può nascere un’amicizia. E le cose di poca importanza, come il colore della pelle, finiranno per non contare più».

Nonostante alcune frange estremiste del BLM e del KKK che non sanno manco cosa significhi libertà e dialogo (lo considerano da una parte un traditore della razza nera, dall'altro un agente delle forze occulte sioniste che far sgretolare la veridicità della rivoluzione bianca), molti attivisti hanno ascoltato l'insegnamento di Davis e noi di Libere Comunità siamo profondamente convinti che la sua etica ed il suo attivismo devono essere da monito per poter costruire un futuro migliore.


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