Di fronte all'avanzata degli Stati assoluti e allo strapotere delle potenze straniere, non pochi furono i politici italiani che nel Cinquecento auspicavano la creazione di una federazione di repubbliche cittadine. Il più noto esponente di tali idee fu senza dubbio il lucchese Francesco Burlamacchi, che pagò con la vita la sua lotta allo strapotere di Carlo V d'Asburgo e degli alleati Medici.

Appartenente alla ricca borghesia mercantile lucchese, fu eletto gonfaloniere della Repubblica di Lucca nel 1533.

Occupando la massima carica dello Stato, ordì un piano per spezzare l'egemonia dei Medici sulla Toscana. Le truppe lucchesi avrebbero dovuto attaccare il Ducato di Toscana in concomitanza di ribellioni antimedicee che sarebbero dovute scoppiare a Firenze ed a Pisa. Altre ribellioni sarebbero state fatte esplodere contemporaneamente in varie città della Romagna, mentre il Burlamacchi contava anche sull'adesione della Repubblica di Siena alla guerra contro lo Stato mediceo.

Il progetto fu svelato da un traditore al duca Cosimo. A quel punto scoppiò un gravissimo incidente tra lo Stato toscano e la Repubblica di Lucca. Cosimo, considerato che il capo dello Stato lucchese aveva ordito una vera e propria guerra contro di lui, ne pretendeva la consegna. La Repubblica di Lucca però non poteva cedere ad una tale pretesa senza diventare di fatto un protettorato dei Medici. La guerra sembrava dunque inevitabile.

L'imperatore Carlo V però, dato che la sopravvivenza dello Stato lucchese era per lui cosa gradita, volle intervenire nella disputa prima che dalla diplomazia si passasse alle armi. Lucca era l'unica città imperiale italiana e l'impero non intendeva che essa fosse annessa alla Toscana. L'Imperatore dunque chiese che il Burlamacchi gli venisse consegnato. Lucca, che non avrebbe potuto dare un suo cittadino nelle mani di un qualsiasi stato straniero, si dovette adattare e lo consegnò nelle mani dell'autorità imperiale dalla quale, dal 1369, l'esistenza stessa dello Stato lucchese era garantita.

Il Burlamacchi fu così giudicato da una corte imperiale in Milano e fatto decapitare all'alba del 14 febbraio, con l'accusa di aver turbato la pace tra gli stati italiani.

La visione del Burlamacchi avrebbe condotto alla nascita, nell'Italia centro settentrionale, di una confederazione di repubbliche (Lucca, Pisa, Siena, Firenze e Romagna) di tipo elvetico. Alcuni sospettano, pur in mancanza di documenti in proposito, che il Burlamacchi avesse idee filo riformate. Sta di fatto che Michele Burlamacchi, secondo figlio del nobile lucchese, emigrò, anni dopo, nella Ginevra calvinista diventando una figura di spicco tra i ricchi protestanti italiani che là vivevano.

La figura di Francesco Burlamacchi fu riscoperta dai federalisti italiani tra il 1847 e il 1861. Essa mal si adattava a rappresentare il neoguelfismo, ma era comunque emblema del tentativo di dar vita ad uno Stato unitario basato sull'unione delle città italiane.

Nel 1859 il Governo Provvisorio della Toscana deliberò di erigere una statua del Burlamacchi nella centrale Piazza San Michele a Lucca. L'atto del governo del barone Bettino Ricasoli mirava a conquistare le simpatie dei lucchesi. Lucca infatti era stata annessa alla Toscana nel 1847 e il governo assolutistico di Leopoldo II aveva trovato una forte opposizione nell'ex ducato lucchese. Tale opposizione non era solo dovuta alla perdita di una indipendenza millenaria, ma anche ad alcuni atti del governo toscano come il declassamento dell'Università di Lucca. In sostanza, attraverso il monumento, il governo toscano intendeva comunicare la sua diversità dal regime granducale e il riconoscimento della peculiare storia lucchese.

Oggi la statua e la figura di Burlamacchi sono divenute un simbolo massonico (a lui è intitolata una loggia della città di Lucca - Grande Oriente d'Italia) e un riferimento per i lucchesi che si ritengono antitoscani. Secondo alcuni la statua è stata realizzata volgente le spalle alla chiesa proprio per indicare i forti contrasti tra la figura del Burlamacchi e la religione cattolica.


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