La scelta di trattare un personaggio come Stanis Ruinas è dovuto al fatto che questo pensatore politico non ha mai avuto il peso che meritava. Lui, in qualche modo, può essere anche considerato precursore di quelli che poi saranno parte di movimenti successivi (come la Novelle Droite o la European New Right a destra, oppure come Partito Socialista Unificato della Catalogna o il Unione Nazionale Africana dello Zimbabwe più a sinistra) che inizieranno il sincretismo politico per superare l’oramai faziosa e stagnante dicotomia destra-sinistra, che da sempre hanno favorito il potere finanziario e capitalistico tradendo più volte gli ideali iniziali.

Su Stanis Ruinas ci sono pochissimi articoli e pochissimi spazi che lo trattano, io stesso ho dovuto ricercare e verificare a fondo ciò che ho scritto, perché molte volte le fonti si perdevano in assurde contraddizioni, simbolo del fatto che un personaggio del genere (inviso sia dai fascisti che dai comunisti) era un personaggio scomodo perché libero e ribelle. Un libero pensatore che poteva fare la differenza, soprattutto negli anni ’70 italiani. Mentre il resto d’Europa e del mondo vivevano quegli anni all’insegna di rivoluzioni sociali e politiche, l’Italia era gabbia degli ideologismi e della trappola degli opposti estremismi (gli anni di piombo).

Molti giovani morirono per le proprie idee, e la lotta politica culminò con la formazione di apparati terroristici come i NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) oppure le Brigate Rosse (BR), che perpetrarono crudeltà ed omicidi in nome di presunte barriere ideologiche, e senza rendersene conto stavano facendo il gioco del Capitale, alimentando il divide et impera, di una Italia governata sempre più dai liberal-capitalisti della DC (Democrazia Cristiana).

Se solo più giovani avessero potuto accedere alle intuizioni di Stanis Ruinas, e non facendosi intrappolare negli opposti estremismi, probabilmente non ci sarebbero stati giovani militanti politici uccisi e non avrebbero perso la vita centinaia di vittime innocenti. Il seguente articolo in lingua inglese è disponibile nel libro War Of Ideas della casa editrice Black Front Press.

Origini e Sviluppi

Uno dei primi ad accorgersi delle similitudini tra fascismo e comunismo, essendo figli entrambi del socialismo, era il giornalista e pensatore sardo Stanis Ruinas, che dopo la guerra anziché prendere parte al nascente MSI (Movimento Sociale Italiano, creato dai reduci della Repubblica Sociale Italiana), cercò di creare un movimento da ponte attraverso il suo giornale, che confluì nella fila del Partito Comunista Italiano, per un breve periodo. Dai suoi nuovi compagni era visto fascista alternativo, irrequieto, perennemente ostile alle plutocrazie anglosassoni e all'imperialismo sovietico. Un rivoluzionario che tentò di costruire quella 'sinistra a lungo raggio' che avrebbe salvato la nazione e attuato il vero socialismo.

Giovanni Antonio De Rosas (il vero nome di Stanis Ruinas) nasce a Usini, in provincia di Sassari, nel 1899, cresce con ideali mazziniani ed è quindi repubblicano, antiborghese e anticapitalista. Comincia a collaborare a giornali e varie testate con lo pseudonimo di Stanis Ruinas, sposando fin da subito le idee del fascismo “sansepolcrista”, cioè socialista, antimonarchico, contrario all’ingerenza del Vaticano. Nell’arco del Ventennio collabora a L’Impero, Il Popolo d’Italia, Il Resto del Carlino e dirige il Popolo Apuano e il Corriere Emiliano. Nel periodo del massimo consenso mussoliniano le sue idee intransigenti lo fanno un po’ cadere in disgrazia agli occhi del regime: Ruinas viene sospeso e poi radiato dal Pnf «per indisciplina e scarsa fede» e sottoposto a vigilanza speciale, fino alla riconciliazione avvenuta alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Nella guerra contro le forze «plutocratiche» e «trustistiche» inglesi e statunitensi, e ancor più con la nascita della Repubblica sociale italiana, Stanis Ruinas vede finalmente incarnarsi il fascismo delle origini e la possibilità di realizzare quella rivoluzione per la quale si è sempre battuto.

La socializzazione e la ricerca di un accordo con gli antifascisti per impedire la guerra civile diventano i cardini attorno ai quali ruota la sua azione giornalistica e politica. Ma l’evolversi della situazione, con la Rsi nelle mani dei tedeschi e comunque condizionata da mille equilibrismi, frustrerà le sue aspettative; anche se Ruinas respingerà sempre l’accusa secondo cui il fascismo repubblicano sarebbe stato l’espressione estrema della reazione capitalista. Anzi, nel Dopoguerra ribalterà l’accusa sui comunisti italiani, colpevoli di collusione con la borghesia per aver scelto di partecipare al governo Bonomi e di aver accettato l’alleanza con l’Inghilterra e gli Usa. «A costo di passare per un ingenuo – scriverà – confesso di non comprendere come uomini che si autoproclamano rivoluzionari, socialisti, comunisti, anarchici, e che per i loro ideali hanno sofferto la galera e l’esilio, possano plaudire all’Inghilterra plutocratica e all’America trustistica, che in nome della democrazia e della libertà democratica devastano l’Europa».

Affermatore e non negatore della patria e della nazione, questo fu in estrema sintesi il socialismo inseguito da Stanis Ruinas : con il lavoro soggetto dell’economia, il popolo al centro dello stato, l’uomo limite e base di tutte le cose, tra la socializzazione delle industrie, la nazionalizzazione dei maggiori istituti bancari, i consigli operai di gestione ed un salario adeguato ai bisogni dei lavoratori. Venne definito dagli storici “Socialismo inseguito”, poiché se Ruinas l’ebbe incontrato lungo la linea del risorgimento nazionale di Mazzini, Garibaldi, Pisacane e Cattaneo, non esitò poi a riconoscerlo tra le camicie nere di Benito Mussolini e del fascismo, apparentemente risolute a spingere fino all’ultimo traguardo la corsa della nazione verso il popolo.

Il fascismo normalizzato mal concordava del resto con il socialismo rivoluzionario di Ruinas che, radiato e reintegrato nel Pnf, continuò ad impegnarsi nella stampa di regime. Sempre irrequieto, Ruinas seguì infine il suo duce fino ai giorni ultimi di Salò; tra i romantici di una tradizione cavalleresca… dalla coscienza senza macule, dall’anima fiera. Poco importava se la causa della Repubblica Sociale Italiana avesse da offrire soltanto sconfitta ed amarezza. Proprio nell’ultima resistenza del sangue contro l’oro, il giornalista sardo aveva infatti visto risorgere il suo socialismo; per seicento giorni tradito dai gerarchi, pugnalato dalle baionette straniere ed annegato nel sangue di una guerra civile feroce quanto inutile. In questi termini almeno, Ruinas chiuse il bilancio della propria esperienza repubblichina, tra le fosche pagine di Pioggia sulla Repubblica (1946).

Ma se neanche a Salò, la nazione aveva potuto andare incontro al popolo, migliori prospettive non si aprivano forse nel dopoguerra? Sarebbe stato il segretario comunista, Palmiro Togliatti, ad edificare il socialismo? A questo interrogativo Ruinas tentò di rispondere tra le pagine di Pensiero Nazionale, il periodico definito dei fascisti rossi, dei fascisti-comunisti, dei caronti, etichette paradossali per una delle esperienze editoriali più anticonformiste e ribelli dell’immediato dopoguerra; riesumata dall’oblio dall’interessante monografia: Fascisti Rossi, dello storico Paolo Buchignani. Luigi Longo, ex comandante dei partigiani comunisti e vice segretario del Partito Comunista Italiano, fu quindi informato con anticipo del nuovo progetto editoriale e diede la sua benedizione allo sparuto manipolo che diffidente si era recato ad incontrarlo in Via delle Botteghe Oscure (febbraio 1947). Nella nuova sede del Pci, una segretaria, aveva salutato Ruinas e la sua comitiva con l’appellativo di “compagni”, forse non li dispiacque ma certo si sbagliava; stavolta quelli che desideravano incontrare Longo erano, o meglio erano stati, ferventi fascisti che soltanto una coerenza ferrea aveva condotto nel quartier generale di Togliatti. Le pubblicazioni di Pensiero Nazionale iniziarono il 15 maggio 1947. La linea del periodico si collocò decisamente a sinistra: anticapitalista, antiamericana, avversa al neofascismo (strumento della reazione borghese), volta a promuovere la collaborazione gli ex fascisti e il fronte delle sinistre.

I primi tentativi di dialogo avvennero a mezzo stampa. Il quotidiano comunista La Repubblica d’Italia, diretto da Arrigo Jacchia, fu il primo foglio a mostrare interesse per le posizioni di Pensiero Nazionale e ad accettare Ruinas quale interlocutore. L’analisi del presente individuò avversari comuni e comuni obbiettivi da raggiungere, dal passato incombeva invece la principale divergenza: l’interpretazione del fascismo. I comunisti de La Repubblica d’Italia se pure disposti a riconoscere la buona fede e gli eventuali meriti di molti fascisti, interpretavano il defunto regime in chiave intrinsecamente reazionaria; lettura con la quale, i giornalisti di Pensiero Nazionale non potevano trovarsi d’accordo. Secondo Ruinas, nonostante l’impegno del rivoluzionario Mussolini, nel fascismo, come poi nella Rsi, avevano sì prevalso gli elementi borghesi e capitalisti, destinati a transitare armi e bagagli nel campo del vincitore ma il triste esito non sarebbe stato inevitabile, in quanto l’anima del fascismo era indubbiamente socialista; rifiutati gli orpelli, stavano a dimostrarlo le idee madri della Rsi: lotta contro le plutocrazie mondiali, abolizione del sistema capitalista, libertà, repubblica avente per oggetto il lavoro.

Pertanto continuava Ruinas, sempre su La Repubblica d’Italia: né io né gli amici di Pensiero Nazionale rinneghiamo il nostro passato di uomini che hanno creduto e combattuto in nome della patria e d’una rivoluzione che per noi ha voluto dire popolo, giustizia, indipendenza economica dell’Italia e distribuzione equa dei beni della terra fra tutte le nazioni in un’Europa rinnovata e liberata dal più feroce dei tiranni: il capitalismo. Per questa ragione… ci definiamo ex fascisti di sinistra.

Di sinistra da sempre e non più fascisti, eppure indisponibili a rileggere sotto la lente dell’errore il proprio passato, per quanto convinti della necessità di superarlo.

La discussione rispettosa con un repubblichino destò interesse nel Pci, tanto da coinvolgere Togliatti; intervistato da La Repubblica d’Italia, pur senza rivolgersi direttamente a Ruinas, il segretario tese la mano agli ex fascisti di sinistra, esprimendo loro simpatia e riconoscendogli: possibilità di sviluppo autonomo, purché abdicassero categoricamente a qualunque ambizione di rivincita. Lo stesso Togliatti sarebbe presto tornato sull’argomento, indirizzando a Rinascita (1 gennaio 1948) la sua recensione a Il Lungo Viaggio di Ruggero Zangrandi, giovane ex fascista che in nome delle stesse idealità rivoluzionarie e socialiste, da prima aveva creduto sinceramente nel fascismo, quindi dolorosamente era giunto a distaccarsene in favore del Pci.

Secondo Togliatti molti giovani come Zangrandi avevano percorso vie diverse da quella dei comunisti, principalmente a causa di un malinteso: anche essi, in sostanza, erano per istinto in rivolta contro quella società; Noi ne restammo lontani per settarismo negli anni del Ventennio, tralasciando di recuperare il tempo perduto, come sarebbe stato opportuno, fin dopo la liberazione. La recensione di Togliatti ottenne il plauso di Pensiero Nazionale, quanto l’invito ad impegnarsi per una vera riconciliazione, promuovendo l’abolizione delle leggi eccezionali che colpivano gli ex fascisti e cessando ogni persecuzione nei loro confronti; tanto più che da un certo antifascismo, elevato a sistema di vita, aveva tratto forza nient’altro che il neofascismo confindustriale del Movimento Sociale Italiano.

L’irrisolto malinteso o la maggiore funzionalità al ruolo di Caronte convinsero Ruinas a dichiarare l’astensione della sua corrente in occasione delle elezioni del 18 aprile 1948. Pensiero Nazionale non intendeva contribuire a svendere l’Italia nella contesa tra gli imperialismi americano e sovietico. La patria, al pari di tutte le altre nazioni europee, avrebbe dovuto rimanere libera e capace di scegliere la propria forma di governo, compreso il comunismo. La posizione astensionista fu sufficiente perché il quotidiano comunista Il Paese decidesse di rilanciarla: non tutti gli ex fascisti danno il voto al Msi, riprendendo anche, a ridosso delle elezioni, i furiosi strali, scagliati da Ruinas contro la dirigenza missina; colpevole di avere tradito gli ideali della Rsi per favorire De Gasperi, a dispetto delle aspirazioni sociali di un’ampia componente della base, invitata ad abbandonare quel partito. All’indomani delle elezioni, la vittoria della Democrazia Cristiana non sorprese così Ruinas che attribuì la sconfitta all’ossequio delle sinistre verso l’Unione Sovietica, responsabile di avere trasformato le elezioni italiane in una contesa internazionale, nonché alla mancata pacificazione tra ex partigiani e repubblichini. Un Partito Comunista escluso dal governo rappresentava tuttavia un interlocutore più gradito per l’intransigenza di Pensiero Nazionale.

L’ulteriore avvicinamento al Pci fu quindi ufficializzato da Ruinas, rispondendo ad un articolo del dirigente comunista, Gian Carlo Pajetta, pubblicato su L’Unità. In visita oltre le stesse sbarre che gli avevano negato la libertà ai tempi del fascismo, Pajetta constatò un’inversione delle parti; in carcere si trovavano ora diversi giovani fascisti, poveri cristi già ingannati da Mussolini, adesso a rischio di cadere nel tranello missino.

Secondo Pajetta occorreva che il Pci non rifiutasse di parlare con questi giovani,una vecchia ferita, una vita nel carcere, un morto nostro… non giustificano e non vogliono il rancore eterno contro chi forse potrebbe aiutare a scuotere il sistema e a realizzare una politica nuova.

La mano tesa da Pajetta fu coperta di sputi dalla stampa legata alla Dc e al Msi; Ruinas si protese al contrario per stingerla: gli uomini di Pensiero Nazionale sarebbero stati i fiancheggiatori liberi e indipendenti del Pci. Tra i collaboratori di Pensiero Nazionale, particolarmente vicino al Pci, era l’ex marò della X Mas, Luca Scaffardi, già iscritto al Fronte della Gioventù, prossimo a trasformarsi nella Federazione Giovanile Comunista Italiana, sotto la guida di Enrico Berlinguer. La partecipazione di Scaffardi, accompagnato per altro da diversi giovani collaboratori di Pensiero Nazionale, al Congresso dell’Alleanza Giovanile romana, associazione autonoma dal Pci (ma presieduta da Berlinguer) e rivolta alla difesa della pace contro la Nato, fu quindi salutata con favore da L’Unità; il giornale del Pci non ebbe timore, nel dare notizia di come alcuni giovani ex fascisti fossero intervenuti al convegno, concordando sulle conclusioni.

Naturalmente, Ruinas sottolineò l’evento su Pensiero Nazionale, contestando tuttavia un’affermazione dell’Unità, secondo la quale Scaffardi avrebbe rivalutato in termini di errore la sua adesione al fascismo e alla Rsi. Da sinistra, apprezzarono invece la partecipazione degli ex fascisti al convegno, Italo Calvino su Vie Nuove e lo stesso presidente dell’Alleanza Giovanile, Berlinguer, nella relazione conclusiva della Conferenza Nazionale, tenutasi a Napoli alla fine del novembre 1948, amano la patria anche i giovani che sono stati ingannati dal fascismo e forse ancora non lo hanno completamente rinnegato… Accettiamo con soddisfazione la dichiarazione di Scaffardi che egli e i suoi amici desiderano oggi lottare a fianco delle forze del lavoro.

Nel febbraio successivo, Alvise Gigante, collaboratore di Ruinas tra i più in vista, fallì per poco nel tentativo di promuovere un’alleanza anti-democristiana tra comunisti e missini in occasione delle elezioni universitarie dell’Interfacoltà romana. Al congresso dell’Alleanza Giovanile tuttavia, Scaffardi più che rifiutare l’interpretazione reazionaria del fascismo, aveva soltanto mancato di esplicitarla. Tra i collaboratori di Ruinas spiccava del resto proprio un gruppo di giovani reduci della X Mas, Alvise Gigante, Giampaolo Testa, Spartaco Cilento e Lucio Mandarà, prossimi a raggiungere il compagno commilitone nel Pci. I marò salutarono Ruinas con una lettera di addio pubblicata su Pensiero Nazionale nella primavera del 1949.
Si accettasse o meno di rileggere il fascismo, il terreno sul quale ricercare le più ampie convergenze tra ex fascisti (vicini a Ruinas o al Msi) e comunisti rimase tuttavia quello dell’antica avversione alle plutocrazie anglosassoni. Fu pertanto proprio a difesa della pace minacciata dalla crociata antisovietica degli Stati Uniti che Berlinguer invitò le sezioni dell’Alleanza Giovanile a coinvolgere i giovani dei più diversi orientamenti politici. Su particolare insistenza del segretario, ad esempio, la sezione romana di Monte Sacro ospitò Pino Rauti; Pensiero Nazionale diede risalto a tali iniziative, come quella romana del cinema Splendore (gennaio 1951), allorché Berlinguer si rivolse direttamente ai giovani che avevano scelto Salò, questo qualcosa in comune che ci unisce vi è stato anche quando si combatteva al Nord. Ambedue lottavamo per l’Italia e per le riforme sociali.. Anche i giovani neofascisti, i quali sognano una grande Italia, sanno che tutte le classi dirigenti tradiscono ancora la gioventù. Queste classi dirigenti sono le uniche nemiche.

Parole che, sottolineò su Pensiero Nazionale, Lando dell’Amico, la stampa di sinistra aveva purtroppo passate sotto coperta. A partire dalla fine del 1951, Ruinas quanto il Pci, rivolsero crescenti attenzioni nei confronti della base missina, delusa dalla linea d’ordine del nuovo segretario Augusto De Marsanich che accettata l’Alleanza Atlantica, ambiva ad avvicinare i democristiani. Ruinas rinnovò così le sue invettive contro i vertici del Msi, i quali vivono dello stipendio che passa loro il capitalismo ammantato di nazionalismo, invitando la base socialista a cooperare con i neonati Gruppi di Pensiero Nazionale, recente espressione politica del suo periodico. Il Pci diede invece vita al Comitato Patriottico della Gioventù contro l’Occupazione Straniera e per l’Indipendenza Nazionale, affidandone la presidenza a Lando dell’Amico (ex X Mas), futuro comunista e molto attivo nel contattare sotto banco gli elementi più insofferenti della sinistra missina per conto del partito di Togliatti.

A seguito del convegno napoletano della nuova associazione, Berlinguer (poi ripreso dalla stampa comunista) riferì al comitato centrale della Fgci di come occorresse: suscitare un impetuoso risveglio patriottico di tutta la gioventù italiana, compresi, oltre ai giovani cattolici anche i giovani del Msi… traditi da capi buffoni e criminali. Sebbene, a partire dalla metà del 1952, il Pci volle mettere freno agli ammiccamenti nei confronti della la base missina, Ruinas si risolse a muovere i primi passi concreti nella direzione di un suo antico progetto: l’edificazione della sinistra a largo raggio. Incombeva infatti, sulla scadenza elettorale del 1953, il premio di maggioranza previsto dalla legge truffa ed il Pci era deciso ad impedire che i democristiani riuscissero a raggiungere la soglia necessaria ad assicurarselo. I Gruppi di Pensiero Nazionale aderirono così alla lista dell’Alleanza Democratica Nazionale, aperta a candidati di variegata provenienza ed alleata dei comunisti. Ruinas fu candidato nelle circoscrizioni orientale ed occidentale della Sicilia, Ferruccio Ferrini (ex sottosegretario alla marina dell’Rsi) in quella di Bari-Foggia. Alleanza Democratica raccolse 155.000 preferenze, contribuendo a negare il premio di maggioranza ai democristiani.

Il relativo successo non contribuì però alla causa della sinistra a largo raggio. Passato il pericolo, il Pci mostrò di non desiderare alcuna alleanza imbarazzante con una forza politica guidata da un gruppo di ex repubblichini. La più parte dei fascisti disposti a raggiungere Togliatti doveva ormai avere già passato il ponte. Probabilmente, anche i finanziamenti comunisti al periodico degli ex fascisti di sinistra, ammessi da Pajetta 40 anni dopo, vennero meno. Ruinas e Pensiero Nazionale, imbarcati anche Giorgio Pini e Concetto Pettinato, tra i massimi dirigenti della sinistra missina, risoltisi ad abbandonare la fiamma, continuarono le pubblicazioni per oltre venticinque anni; continuarono ad inseguire il socialismo e la nazione, oltre Pci: rivolgendosi a Giorgio la Pira e ad Aldo Moro, oltre la politica: guardando all’Eni di Enrico Mattei ed oltre il Mediterraneo: dove la nazione in lotta per l’indipendenza era quella dell’Algeria ed il socialismo quello arabo, tra l’Egitto di Gamal Abd el-Nasser e la Libia di Mu’ammar Gheddafi.

La rivista Pensiero Nazionale viene fondata nel ’47 e anche se avrà sempre una diffusione limitata (non più di 15 mila copie) riesce comunque ad essere presente in tutti i capoluoghi di provincia e ad animare il dibattito politico. All’inizio degli Anni Cinquanta i gruppi che fanno capo al quindicinale si costituiscono in movimento politico, raccogliendo circa 20 mila iscritti; ma l’iniziativa non dà risultati significativi, anche perché il Pci ostacola la nascita di un partito indipendente della Sinistra Nazionale, che pure avrebbe dovuto essere alleato e contiguo. In seguito, come detto, Ruinas e i suoi collaboratori (tra cui figurano il linguista Tullio De Mauro, l’ ex diva degli Anni Quaranta Elsa De Giorgi, i pittori Giulio Turcato e Tonino Caputo, lo scrittore e critico cinematografico Alessandro Damiani, giovani reduci della Decima Mas, come Lando Dell’Amico,Giampaolo Testa ed Alvise Gigante) si avvicinano alle posizioni di Mattei e negli Anni Sessanta assumono posizioni filo-arabe, terzomondiste e favorevoli ad una più stretta collaborazione con i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo.

Con l’Msi, che raccoglie gran parte degli “ex camerati” di Stanis Ruinas, il giornalista sardo avrà sempre un rapporto conflittuale. Il direttore di Pensiero Nazionale considera chiuso il capitolo del Ventennio, respinge le posizioni nostalgiche e “bolla” il partito neofascista come un movimento conservatore e atlantista, usato dalla Dc per irregimentare la gioventù in funzione anticomunista. Nella sua polemica contro i dirigenti missini (in particolare Michelini e poi Almirante), Ruinas risparmia però i militanti più giovani e in buona fede, tra i quali non mancano fra l’altro coloro che in larga parte condividono le idee di Pensiero Nazionale e dei “fascisti rossi”. Si pensi a Giorgio Pini, Roberto Mieville, Beppe Niccolai, Giano Accame… E in seguito all’ala rautiana e ad esperienze editoriali come La voce della fogna e Linea.

Il Pensiero Nazionale cessò le pubblicazioni nel 1977. Stanis Ruinas continuò fino a tarda età l'attività di scrittore, che gli valse il premio Usini nel 1980. Morì quattro anni più tardi a Roma, con lui la speranza di un superamento delle dicotomie oltre la destra e la sinistra, per una Italia davvero socialista senza reazionarismi neo-fascisti, imperialismi sovietici e americani. Una vera Italia: libera, sovrana e socialista.