Il Movimento Distributista Italiano nasce a Bergamo il 13 novembre 2012 da un gruppo di cittadini sinceramente interessati a rimettere il senso comune, l'adesione al reale e l'uso della retta ragione al centro dell'agire politico, al di là di ogni ideologia e nell'interesse del bene comune. Il Movimento Distributista Italiano affonda le sue radici nel pensiero di Gilbert Keith Chesterton e Hilaire Belloc.

Secondo il distributismo, la proprietà dei mezzi di produzione deve essere ripartita nel modo più ampio possibile fra la popolazione generale, piuttosto che essere centralizzata sotto il controllo dello Stato (nel socialismo) o di pochi privati facoltosi (nel capitalismo).

Una sintesi del distributismo si trova nel postulato di Chesterton «Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti». In sostanza, il distributismo si distingue per la sua idea di distribuzione dei beni e dei mezzi di sostentamento, prima fra tutti la proprietà della casa.

Il distributismo sostiene che, mentre il socialismo non permette alle persone di possedere proprietà (che sono sotto il controllo dello Stato o del comune) ed il capitalismo permette a pochi di possedere (come inevitabile risultato di competizione meritocratica), il distributismo cerca di consentire che la maggior parte delle persone diventino i proprietari dei mezzi di produzione e della propria casa. Come Hilaire Belloc stabilì, lo "Stato distributivo" (cioè lo Stato che ha attuato il distributismo) contiene "un agglomerato di famiglie di diversa ricchezza, ma di gran lunga il maggior numero di proprietari dei mezzi di produzione". Questa più ampia distribuzione non si estende a tutti i beni, ma solo a mezzi di produzione e di lavoro, la proprietà che produce ricchezza, cioè, le cose necessarie per l'uomo per sopravvivere. Esso include terra, strumenti, ecc., ma anche la casa, fondamentale per la vita stessa dell'uomo e della famiglia.

Il distributismo è stato spesso descritto come una terza via alternativa a socialismo e capitalismo. Tuttavia, alcuni l'hanno visto più come un'aspirazione, visto che è stato realizzato con successo solo a breve termine e localmente a favore dei principi di sussidiarietà e solidarietà, questi raggiunti in cooperative locali finanziariamente indipendenti. Essi sostengono che in futuro il lavoro salariato sarà visto così come oggi viene visto lo schiavismo.


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