Citato più volte anche se nessuno dei suoi scritti viene menzionato, Bakunin occupa un posto particolare in alcuni dei principali testi di Carl Schmitt (Teologia politica, Dittatura, Il concetto di politica).

I temi che Schmitt sceglie di individuare in Bakunin (il satanismo, il naturalismo, la religiosità dell'autorità, il rifiuto della mediazione), se sono indice di una precisa conoscenza dell'opera del rivoluzionario russo, gli consentono anche di collocarsi in una contrapposizione a tempo debito con i teorici della controrivoluzione.

La lettura attenta che Schmitt sembra aver fatto dei testi di Bakunin non deve nascondere che nell'opera del teorico tedesco Bakunin è soprattutto una figura: quella dell'anarchico russo, il nemico per eccellenza che pretende di farla finita con la politica.

Apparentemente casuale, la convocazione di questa figura parzialmente mitica tocca un tema centrale nell'opera di Schmitt, quello della concezione della politica.

Riepilogo

Studiare la lettura di un autore da parte di un altro non è solo porre la questione dell'accuratezza di questa lettura, del grado di comprensione o incomprensione che manifesta, è anche studiare il ruolo che essa gioca nel dispositivo teorico messo in atto da chi propone questa lettura. Per quanto riguarda il rapporto di Carl Schmitt con Bakunin, e più in generale con l'anarchismo, queste due questioni sono tanto più acute in quanto Schmitt si riferisce spesso a Bakunin e alla corrente di pensiero di cui dovrebbe essere il rappresentante (l'anarchismo, considerato sempre insieme con il sindacalismo rivoluzionario), senza mai citare espressamente un solo suo testo. Mettere in discussione la lettura schmittiana di Bakunin significa quindi porsi tre domande fin dall'inizio. Una domanda fattuale: Schmitt ha letto Bakunin? Una questione di storia della filosofia: ciò che Schmitt scrive su Bakunin riproduce fedelmente le caratteristiche del suo pensiero? La mia risposta a queste prime due domande determinerà la terza: se è chiaro infatti che Schmitt ha una conoscenza piuttosto precisa di certi aspetti dell'opera teorica di Bakunin, le menzioni che ne fa non entrano in un approccio di storico delle idee o della filosofia. Da qui questa terza domanda: che ruolo gioca in Schmitt la figura dell'anarchismo bakuniniano? Vedremo che porre questa domanda equivale a mettere in discussione la stessa mitologia politica di Schmitt.

Propongo, sulla base delle diverse tematiche bakuniniane che vengono evidenziate dai testi di Schmitt, di mostrare anzitutto fino a che punto sia possibile estendere la lettura schmittiana di Bakunin, prima di interrogare questa lettura attorno al problema centrale che costituisce la concezione della politica nei due autori. Ciò equivale a porsi le seguenti due domande: in primo luogo, qual è il contributo della lettura schmittiana alla nostra conoscenza dell'anarchismo di Bakunin; secondo, cosa ci dice questa lettura sullo stesso Schmitt?

Va notato, tuttavia, che l'elenco degli scritti di Schmitt in cui la figura di Bakunin ha un ruolo va oltre l'elenco degli scritti in cui compare il nome di Bakunin. Quest'ultima si riduce essenzialmente a tre testi: Teologia politica, Parlamentarismo e Democrazia e Teoria del partigiano. Nella misura in cui in ciascuno di questi tre testi Bakunin è citato come figura rappresentativa dell'anarchismo, studiare la lettura di Bakunin da parte di Schmitt implica interrogarsi sullo statuto dell'anarchismo e del sindacalismo rivoluzionario in tutta l'opera di Schmitt, e quindi estendere il corpus a un testo come Il concetto di Politica (Begriff des Politischen, curiosamente tradotto in francese con il titolo La notion de politique), che è costellato di riferimenti all'anarchismo.

Il parallelo tra controrivoluzione e anarchismo

Sia nella Teologia politica del 1922 che in Parlamentarismo e democrazia (1923), la figura di Bakunin è evocata in un suggestivo parallelismo tra i teorici della controrivoluzione (Donoso Cortés, Joseph de Maistre e, in misura minore, Louis de Bonald) e quelli dell'anarchismo e del sindacalismo rivoluzionario (Proudhon, Bakunin e Sorel). Capitolo 4 di Teologia politica, [1] dedicato alla “filosofia dello Stato nella controrivoluzione”, mostra che quest'ultima condivide con l'anarchismo una proposizione cardinale riguardante il carattere assoluto di ogni governo e individua tra i teorici della controrivoluzione un aumento di potere della nozione di decisione (che cova sotto formule del tipo “o/o”), nel senso che si tratterebbe di decidere contemporaneamente tra cattolicesimo e ateismo e tra potere assoluto e anarchia. Per Schmitt, queste teorie manifestano un rifiuto della dialettica, in quanto quest'ultima media gli opposti, e si basano invece su opposizioni binarie (la più suggestiva delle quali è l'opposizione tra Dio e il Diavolo).

La controrivoluzione parte dal presupposto che ogni governo è assoluto: il sovrano è colui che prende la decisione, che non può essere contestata da nessun'altra istanza, altrimenti questa istanza diventerebbe essa stessa detentrice della sovranità. C'è quindi un legame tra i concetti di sovranità e decisione, e tra questi concetti e il carattere assoluto del potere. Ma Schmitt fa subito notare che questa premessa è condivisa dall'anarchismo, l'unica differenza tra anarchismo e controrivoluzione sta nella loro valutazione della natura umana: “Ogni idea politica prende posizione in un modo o nell'altro sulla 'natura' dell'uomo e presuppone che è "buono per natura" o "cattivo per natura". E Schmitt aggiunge: “Per gli anarchici consapevolmente atei, l'uomo è decisamente buono, e ogni male è la conseguenza del pensiero teologico e dei suoi derivati, che contengono tutte le rappresentazioni dell'autorità, dello Stato e del potere” (p. 65).

In contrasto con questa concezione della buona natura umana, un teorico come Cortés esagera fino alla follia la malignità e la bassezza dell'uomo, perché per lui si tratta di una decisione politica: un governo assoluto deve basarsi su questo assioma. Paradossalmente, Cortés manifesta proprio per questo un rispetto molto maggiore per il socialismo anarchico che per il liberalismo borghese: la borghesia è quella classe che discute, la sua «essenza è la negoziazione, le mezze misure conservatrici» (p. 71), da qui il disprezzo con cui ne tratta e “il suo rispetto per il socialismo anarchico e ateo, al quale conferisce una dimensione diabolica. Se Cortés rispetta l'anarchismo, è perché lo considera il suo vero nemico, quello a cui si oppone su un assioma riguardante la natura umana e che porta a una conseguenza politica radicalmente opposta a quella che difende. In questa occasione Schmitt evoca il satanismo dell'epoca e parla di un “principio intellettuale forte” la cui “espressione letteraria è l'elevazione al trono di Satana” (ibid.).

È in questo contesto che appare la figura di Bakunin:

È solo con Bakunin che la lotta contro la teologia entra nella logica intransigente di un naturalismo assoluto. Certamente anche lui vuole “spargere Satana”, e ritiene che questa missione sia l'unica rivoluzione degna di questo nome.

Ma Schmitt aggiunge subito:

[...] L'importanza intellettuale di Bakunin riposa sulla sua rappresentazione della vita, che produce di sé e da sé, grazie alla sua naturale correttezza, le forme giuste. Per lui non c'è quindi niente di negativo né di male, se non la dottrina teologica di Dio e del peccato, che etichetta l'uomo come cattivo per avere un pretesto al suo desiderio di dominio e alla sua volontà di potenza. (pag.72).

In de Maistre, Schmitt sottolinea poi:

[...] gli opposti, autorità e anarchia, si oppongono con totale determinazione e costituiscono l'ovvia antitesi di cui sopra: quando de Maistre dice che ogni governo è necessariamente assoluto, un anarchico dice letteralmente la stessa cosa; semplicemente, grazie al suo assioma dell'uomo buono e del potere corrotto, trae la conclusione pratica opposta: ogni potere deve essere combattuto, perché ogni potere è dittatura. (pag.74).

L'opposizione tra anarchismo e controrivoluzione mette così in gioco due elementi, da un lato un presupposto, comune a entrambe le correnti, sull'assolutezza di ogni forma di governo, dall'altro un assioma, che viene a determinare la posizione politica, sulla natura umana. La controrivoluzione ritiene che l'uomo sia cattivo, e per questo afferma che ogni governo deve necessariamente essere assoluto. L'anarchismo riterrebbe l'uomo naturalmente buono, e quindi affermerebbe che ogni autorità politica, in quanto ostacola il libero sviluppo dell'umanità, è cattiva e deve necessariamente essere distrutta. Vale la pena considerare questo approccio, in quanto si discosta dai luoghi comuni che solitamente si trovano nel pensiero anarchico. In particolare, quanto Schmitt dice dell'anarchismo mostra una buona conoscenza dei temi che strutturano il pensiero del suo principale presunto rappresentante, Bakunin. Da parte mia ne conserverò quattro: il naturalismo, il satanismo, lo schema teologico dell'autorità e la questione della conflittualità.

I temi bakuniniani della lettura schmittiana

Naturalismo

Cosa dobbiamo pensare dell'affermazione di Schmitt secondo cui l'importanza intellettuale di Bakunin si basa sulla sua rappresentazione naturalistica della vita? Ovviamente questo non significa che Bakunin sia importante in campo intellettuale per le sue qualità di studioso o di naturalista, titoli che non ha mai rivendicato e che sarebbe comunque difficile attribuirgli. Dalla metà degli anni Sessanta dell'Ottocento, nei manoscritti che riprenderà o svilupperà nei suoi scritti successivi, Bakunin espone che l'intero universo è soggetto a un movimento ascendente, che vede svilupparsi al suo interno la solidarietà insita nelle diverse specie, movimento che ha come punto culminante la libertà umana. In questo, non solo annuncia alcune delle formule più eclatanti dell'anarchismo di fine Ottocento (ad esempio quella di Élisée Reclus secondo la quale l'umanità non è altro che la natura che prende coscienza di sé), ma si inserisce in una tradizione di filosofia della natura che potrebbe leggere in Schelling, e soprattutto in Hegel, anche se appunto, il fatto di reinscrivere l'umanità nella natura consiste nel prendere l'opposto della concezione hegeliana secondo la quale la natura non è altro che l'idea divenuta estranea a se stessa, e che introduce di questo fatto una discontinuità radicale tra la natura e lo spirito. L'anarchismo bakuniniano, non ultima delle sue peculiarità, rivendica una dimensione cosmica e un ancoraggio naturalistico che non condivide con nessun'altra dottrina politica, e non c'è dubbio che sia questo aspetto che ha spinto Schmitt a dargli tale importanza. Sullo sfondo di un sistema materialista del mondo basato sulla nozione di solidarietà, Bakunin poteva opporsi al dogma del libero arbitrio e sottolineare che la libertà non poteva essere considerata come un punto di partenza individuale, ma sempre come un prodotto collettivo. Per Bakunin, la natura stessa conduce all'anarchia, il che annuncia un'altra formula di Reclus, secondo la quale l'anarchia è la massima espressione dell'ordine.

Satanismo

In secondo luogo, negli scritti di Bakunin, seguendo Proudhon, si trovano molteplici elogi di Satana, come rappresentante mitico di un principio che si oppone al principio, teologico e politico, dell'autorità. L'elogio di Satana da parte di Bakunin va ben oltre il quadro della polemica antireligiosa. Così, quando difende la Comune di Parigi contro il patriota italiano Giuseppe Mazzini, Bakunin la identifica con Satana, in quanto essa è l'esatta negazione del Dio mazziniano. [2] Se Schmitt ha ragione a parlare di questo forte principio intellettuale, è perché il tema satanico, in Bakunin, è solo la punta affusolata degli altri due temi che lo sottendono, da un lato il legame tra teologia e politica, dall'altro la questione della decisione tra due princìpi che è impossibile mediare, che conduce a una teoria del conflitto. Su questi ultimi due punti, vedremo che è possibile estendere la lettura delineata da Schmitt.

Il satanismo di Bakunin, se così vogliamo chiamarlo, si basa sulla radicalizzazione di un tema esposto ne L'essenza del cristianesimo di Feuerbach, quello delle radici antropologiche della religione. Da questo lavoro, Bakunin trae l'affermazione che l'idea di Dio è un'idea misantropica che si basa sul "disprezzo sistematico per l'umanità" e persino per l'intero mondo naturale. Questo disprezzo è strettamente proporzionale all'adorazione di Dio, poiché Dio si arricchisce delle spoglie dell'umanità. Pertanto, affermare l'esistenza di Dio «è proclamare la decadenza del mondo e la schiavitù permanente dell'umanità. [3] La filosofia di Bakunin è un antiteologismo e sfocia nell'elogio di Satana perché assume la visione opposta di queste affermazioni e proclama che l'umanità può essere la fonte del vero e del giusto, restituendo così all'uomo e alla natura ciò di cui sono stati spogliati.

Il sacrificio è per Bakunin l'esito concreto di questo sistematico disprezzo dell'umanità che costituisce il fondamento di ogni religione, e in particolare della religione cristiana. Attaccando l'idea di Dio, Bakunin è interessato al culmine dell'inversione antropomorfa descritta da Feuerbach. In quanto lotta contro l'idea di Dio, l'antiteologismo consiste nel mostrare che la giustizia divina non è altro che il negativo della giustizia umana, così come l'amore di Dio significa odio per gli uomini e il rispetto per il cielo significa disprezzo per la terra:

L'azione della religione non consiste solo in questo, che prende dalla terra le ricchezze e le potenze naturali e dall'uomo le sue facoltà e virtù, così come le scopre nel suo sviluppo storico, per trasformarle in cielo in tante divinità divine attributi o esseri. Effettuando questa trasformazione, cambia radicalmente la natura di questi poteri e qualità, li distorce e li corrompe, dando loro una direzione diametralmente opposta alla loro direzione primitiva. [4]

Questo è particolarmente vero per la giustizia:

La stessa giustizia, questa futura madre dell'uguaglianza, una volta trasportata dalla fantasia religiosa nelle regioni celesti e trasformata in giustizia divina, ricade subito sulla terra nella forma teologale della grazia, e abbracciando sempre e ovunque la parte del più forte, semina tra gli uomini solo violenza, privilegi, monopoli e tutte le mostruose disuguaglianze consacrate dalla legge storica. [5]

L'antiteologismo bakuniniano ha dunque motivazioni politiche. Nella proiezione antropomorfa descritta da Feuerbach interviene un processo di autorizzazione mediante il quale l'uomo rinuncia ad essere l'autore dei suoi atti, per esserne solo l'attore. Questo processo di autorizzazione permette ad alcuni uomini di consacrare il loro dominio temporaneo affermando di essere autorizzati da Dio a governare i loro simili. Non si deve quindi fraintendere il lato morale dell'antiteologismo di Bakunin: si tratta per lui di assumere il contrario, non di tutte le prescrizioni religiose, ma del principio su cui si fondano, in quanto tale principio consiste nel negare la capacità dell'umanità di essere artefice del proprio progresso. Di questo principio, che spossessa l'uomo di ogni capacità, Dio è l'incarnazione ideale, ed è per questo che Bakunin ritiene che l'idea stessa della moralità umana costituisca una negazione assoluta dell'idea di Dio.

Bakunin può allora riprendere, senza citarle, le clamorose formule di Proudhon, la più famosa delle quali è questa: «L'uomo [...] è così costituito nella sua ragione e nella sua coscienza che, se si prende sul serio, è costretto rinunciare alla fede, rifiutarla come cattiva e nociva, e dichiarare che, per lui, Dio è cattivo. [6] L'uomo è dotato di una ragione e di una coscienza. Il primo consente l'accesso alla verità, il secondo l'accesso alla giustizia. Prendere sul serio l'uomo è prendere sul serio l'idea che egli è capace di raggiungere il vero con le forze della propria ragione e il giusto con la luce della sua coscienza. Questa indipendenza nella ricerca del vero e del giusto essendo considerato come il Dio buono può così essere dichiarato come il male. Bakunin non afferma il contrario quando sottolinea che tutta la teologia postula la cattiva natura dell'uomo e il carattere nocivo della sua libertà. [7]

Pur ispirandosi a Proudhon, la moltiplicazione delle lodi di Satana sotto la penna di Bakunin assume allora un significato originale. Una delle bozze più allegre de L'impero knuto-tedesco e la rivoluzione sociale elogia in Satana «il genio emancipatore dell'umanità», ovvero «l'unica figura realmente comprensiva e intelligente della Bibbia» [8] perché invitava gli uomini ad alzarsi in piedi e gustate il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. [9] Il senso della favola è trasparente: l'autonomia morale è interdetta all'umanità, che dovrà regolare la propria esistenza sulla base delle prescrizioni divine, trasmesse dai sacerdoti, e l'esclusione di Satana nella Bibbia deve essere interpretata come la espressione fantastica della reciproca esclusione tra Dio e la libertà.

Intorno a quest'ultimo tema Bakunin costruisce una sorta di prova morale dell'inesistenza di Dio mostrando che l'esigenza stessa dell'emancipazione dell'umanità porta alla negazione della divinità. La formulazione di questa dimostrazione è particolarmente illuminante per la lettura schmittiana di Bakunin:

A meno che [...] non vogliamo la schiavitù e la degradazione degli uomini [...], non possiamo, non dobbiamo fare la minima concessione né al Dio della teologia né al Dio della metafisica. Perché in questo alfabeto mistico, chi comincia dicendo A deve inevitabilmente finire dicendo Z, e chi vuole adorare Dio deve, senza farsi illusioni puerili, rinunciare coraggiosamente alla sua libertà e alla sua umanità:

Se Dio è, l'uomo è schiavo; eppure l'uomo può, deve essere libero, quindi Dio non esiste.

Sfido chiunque a lasciare questo circolo; e ora scegliamo. [10]

Bisognerà ritornare su questa drammatica alternativa, che Bakunin non cessò di rinnovare dalla metà degli anni Sessanta dell'Ottocento, in quanto sembra permettere di prolungare il parallelo schmittiano tra anarchismo e controrivoluzione. Se lo si confronta con i testi precedenti che contengono già questa formula, [11] l'interesse del testo del 1871 che abbiamo appena letto risiede nella sua colorazione morale nettamente più affermata. Bakunin si concentra innanzitutto sulla questione della libertà, il che implica che la questione dell'accesso alla verità sia ormai inscritta nella questione più generale dell'emancipazione. In secondo luogo, l'idea di Dio è contraddetta non solo dalla possibilità per l'umanità di emanciparsi, ma anche dall'emancipazione come esigenza. Per questo è legittimo parlare di una prova morale. Per capovolgere una formula kantiana, diremmo che l'inesistenza di Dio costituisce un postulato della ragion pratica: chi pretende di operare per la propria emancipazione e quella dell'umanità deve essere consapevole della scelta che gli si presenta. Ogni vera emancipazione consisterà in una negazione attiva dell'esistenza di Dio, in quanto quest'ultima si presenta come ipostasi e personificazione del principio di autorità. È importante ritenere che, indipendentemente dagli argomenti che le scienze della natura possono fornirgli, l'ateismo, per Bakunin, è un atteggiamento pratico che risulta da una scelta. Ma questa scelta si inscrive essa stessa in un'alternativa che richiama fortemente quelle che Bakunin costruisce sul terreno politico: la scelta dell'ateismo si interseca con quella della rivoluzione, da qui il paradossale accordo di Bakunin con Mazzini quando quest'ultimo individua nella Comune di Parigi e nell'Internazionale un ispirazione satanica. Il tema satanico suggerisce dunque due direzioni: il riconoscimento dello schema teologico dell'autorità e l'impossibilità di mediare i due princìpi in lotta (principio autoritario e principio libertario), che porta alla necessità del loro confronto.

Lo schema teologico dell'autorità

Rispetto allo schema teologico dell'autorità, le affermazioni di Schmitt in Teologia politica devono essere lette insieme a un passaggio di Federalismo, socialismo e antiteologismo, primo tentativo di Bakunin di una presentazione sistematica delle sue idee nell'inverno 1867-1868. In questo testo Bakunin sottolinea che lo Stato e la teologia hanno in comune il postulato della natura intrinsecamente malvagia dell'uomo. I ruoli sono così divisi: la teologia spiega perché l'uomo è cattivo, lo Stato ne trae le conseguenze pratiche e opprime pretendendo di difendere i cittadini gli uni dagli altri. Da qui la conclusione di Bakunin:

Non è una cosa notevole che questa somiglianza tra la teologia — questa scienza della Chiesa, e la politica — questa teoria dello Stato, che questo incontro di due ordini di pensieri e di fatti apparentemente così opposti, nella stessa convinzione: quella della necessità dell'immolazione della libertà umana per moralizzare gli uomini e trasformarli, secondo l'uno — in santi, secondo l'altro — in cittadini virtuosi. — Quanto a noi, non ce ne meravigliamo affatto, perché siamo convinti [...] che la politica e la teologia siano due sorelle che vengono dalla stessa origine e perseguono lo stesso fine sotto nomi diversi; e che ogni Stato è una chiesa terrena, come ogni chiesa [...] non è altro che uno Stato celeste. [12]

Questa affermazione conferma l'analisi di Schmitt della posizione antropologica fondamentale che sarebbe quella non tanto dell'anarchismo (il postulato della buona natura) quanto della controrivoluzione. Cosa ci dice Bakunin in questo brano? Che politica, dottrina della legittimazione dello Stato e teologia condividono il postulato della cattiva natura umana, dell'incapacità dell'umanità a raggiungere da sé la moralità e il progresso, e di conseguenza della necessità di autorità religiose e politiche che vengano a educare, a moralizzare e costringono l'umanità a progredire. Si troverebbe così sotto la penna di Bakunin un annuncio dell'analisi della controrivoluzione che Schmitt produrrà circa cinquant'anni dopo.

Questo punto richiede però due osservazioni. La prima riguarda questo assioma antropologico che Schmitt crede di ritrovare in Bakunin. Bakunin, infatti, non formula esattamente le cose in termini di natura buona e cattiva: non c'è da un lato la reazione, che afferma che l'uomo è cattivo e va costantemente corretto e tenuto al guinzaglio per non peccare, e dall'altro dall'altra la rivoluzione, che afferma che ogni male viene dallo Stato e dalla Chiesa. Per Bakunin, che è meno moralista che filosofo della storia o evoluzionista, la questione si pone in termini di capacità: l'umanità è capace di raggiungere da sé (intendendo con questo, senza alcun ricorso alla trascendenza, sia essa quella teologica di un Dio o quello politico dello Stato) uno sviluppo delle sue capacità, un aumento del suo potere di agire, che designa l'unico vero bene? Il problema quindi non è tanto per Bakunin sapere se l'uomo è buono o cattivo, ma se l'uomo è capace di educare se stesso. Questo punto sarà importante quando metteremo in discussione lo status bakuniniano della politica.

La seconda osservazione riguarda la nozione di teologia politica. Per Schmitt, nell'opera che porta questo titolo, non ci sarebbe teologia politica tra gli anarchici, e quest'ultimo termine servirebbe solo da anatema per screditare il nemico. Gli ultimi commentatori di Schmitt hanno avuto il merito di cercare a cosa potesse riferirsi, e in genere si riferiscono al testo di Bakunin diretto contro la Teologia politica di Mazzini. Che questa espressione abbia un aspetto polemico, e senza dubbio anche offensivo, nella mente di Bakunin è fuori dubbio. [13] D'altra parte, non è chiaro perché l'uso polemico di una nozione ne escluderebbe l'uso teorico. Ma lo schema teologico-politico gioca in Bakunin un ruolo decisivo, poiché designa il principio esattamente opposto a quello su cui il rivoluzionario russo intende fondare la sua filosofia dell'emancipazione e la sua pratica politica. In Bakunin, il processo che fa nascere le autorità istituite e le consacra è da parte a parte un processo religioso: c'è un vero e proprio schema teologico dell'autorità.

Il rapporto con la conflittualità

È su questa base che incontriamo la concezione bakuniniana della conflittualità. I teorici della controrivoluzione non sono i soli a insistere sulla questione della decisione, sulla necessità di decidere tra due opzioni fondamentali. Anche per Bakunin la scelta è tra il potere assoluto e l'anarchia. Nei testi che cercano di collegare la questione religiosa alla politica, Bakunin ingiunge ai suoi lettori, come abbiamo visto, di decidere tra due opzioni fondamentali, una che difende l'esistenza di Dio e conduce alla necessità della schiavitù dell'umanità, l'altra che nega l'esistenza di Dio e porta alla necessità della sua emancipazione. Per Bakunin non esiste una soluzione intermedia sostenibile. Il parallelo tracciato da Schmitt nella prima Teologia politica tra anarchismo e controrivoluzione può essere nuovamente esteso, tanto più che il rifiuto di mediare gli estremi e l'affermazione della necessità del loro confronto costituiscono due tratti costanti del modo in cui Bakunin si rapporta a relazioni politiche.

Il testo che argomenta nel modo più sviluppato questa posizione è anche quello che inaugura la carriera politica di Bakunin — nello stesso momento in cui chiude il suo periodo filosofico. È l'articolo del 1842 “La reazione in Germania”, che fa parte dei dibattiti interni della sinistra hegeliana. [14] In questo articolo Bakunin attacca quella parte della Reazione che pretende di riconciliare gli estremi e mostra, seguendo il destino della categoria dell'opposizione nella Logica di Hegel, che ogni opposizione, in quanto opposizione del positivo e del negativo, deve portare necessariamente a una contraddizione, che a sua volta non avrà altro esito che la reciproca rovina dei due termini contraddittori, il negativo assorbendo il positivo e trasformandosi a sua volta in una nuova positività, più ricca di determinazioni. Non si tratta tanto di Bakunin che rifiuta ogni mediazione tra gli opposti, quanto di sottolineare che nella lotta è possibile solo la mediazione: alla conciliazione, che consiste nel far intervenire un'autorità che trascenda l'opposizione per conservarla nello Stato, per impedirne lo sviluppo e permettere così il mantenimento dello status quo, Bakunin si oppone a questa vera mediazione, immanente all'opposizione, che costituisce la lotta tra gli opposti — in breve, la lotta rivoluzionaria. E come con Cortés, gli attacchi si concentrano contro il partito della terra di mezzo: i reazionari fanatici meritano rispetto, perché si attengono alla purezza del loro principio.

Sebbene siano trascorsi diversi decenni prima che il suo autore si dichiarasse espressamente anarchico, questa concezione dei modi in cui è possibile l'emancipazione dell'umanità avrà estensioni, non solo in Bakunin, ma in tutto il pensiero anarchico, di cui Schmitt era senza dubbio consapevole. Così, la nozione di azione diretta, così come fu elaborata alla fine del XIXsecolo, designa un'azione compiuta direttamente dagli interessati, indipendentemente da ogni mediazione statale (ad esempio, uno sciopero generale espropriatore, compiuto dagli interessati e che consiste nell'instaurare direttamente un altro modo di produzione, è un'azione diretta; un assassinio che pretende di sfidare il potere statale per prepararne la conquista non è un'azione diretta). La concezione bakuniniana della conflittualità, in quanto rifiuta ogni mediazione intesa come conciliazione, impone d'ora in poi che ci si interessi allo statuto della politica in Bakunin, statuto che è la problematica fondamentale dei brani che Schmitt gli dedica.

Lo status della politica: Bakunin come nemico

Bakunin, teorico dell'uso immediato della violenza?

Parlamentarismo e Democrazia, nel suo capitolo 5, colloca l'anarchismo di Bakunin tra le “teorie irrazionali dell'uso immediato della violenza”, accanto al sindacalismo rivoluzionario di Sorel. Per Schmitt, ogni teoria dell'uso diretto della violenza poggia su una filosofia dell'irrazionalità, su “una teoria della vita concreta immediata” [15]: in questo passo è preso di mira il sindacalismo rivoluzionario teorizzato da Sorel, ragion per cui questa “teoria della vita concreta immediata” viene avvicinata alla filosofia di Bergson, ma le osservazioni di Schmitt su questo argomento non fanno altro che prolungare quelle contenute nella Teologia politica a proposito del pensiero di Bakunin naturalismo. La questione dello statuto della politica nella lettura di Bakunin da parte di Schmit può essere affrontata partendo da questa questione dell'uso immediato della violenza. L'uso immediato della violenza significa soprattutto due cose: che la pratica politica è concepita essenzialmente nella sua dimensione negativa, ovvero che esiste solo una politica rivoluzionaria negativa; che l'azione distruttiva, che costituisce la parte negativa o politica dell'azione rivoluzionaria, non ricorre ad alcuna mediazione per essere esercitata, ed in particolare alla mediazione dello Stato.

Sono qui necessarie alcune osservazioni sul modo in cui Bakunin pone la questione della violenza rivoluzionaria nei suoi programmi anarchici. Per Bakunin è vero che la rivoluzione è un evento violento e che la liquidazione dell'ordine costituito non può essere raggiunta pacificamente. Ma è ancora necessario concordare sulla natura di questa violenza. Infatti, anche nei testi che non intendeva pubblicare (ad esempio nei suoi programmi sulle società segrete), Bakunin proibiva esplicitamente l'uso della violenza contro le persone, che considerava qualcosa di controrivoluzionario quando era consapevolmente pianificata. Che la violenza contro le persone venga esercitata in occasione di eventi rivoluzionari, specialmente contro coloro che incarnano l'ordine che sta per essere rovesciato, è qualcosa di inevitabile (la violenza del fatto rivoluzionario ha qualcosa di irriducibile), ma il compito dei rivoluzionari è proprio quello di contenere questa violenza per trasformarla in violenza contro le istituzioni. È un'affermazione quasi costante in Bakunin che una vera rivoluzione è principalmente diretta contro l'ordine delle cose piuttosto che contro l'ordine delle persone. Ad esempio, è molto importante che una rivolta contadina sia accompagnata dal rogo dei titoli di proprietà, piuttosto che dal linciaggio dei grandi proprietari terrieri. Sotto questo aspetto, e solo sotto questo aspetto, è possibile vedere in Bakunin un teorico dell'uso immediato della violenza — anche se questo contraddice un immaginario che conserva dell'anarchismo solo l'uso politico della bomba e del revolver. È un'affermazione quasi costante in Bakunin che una vera rivoluzione è principalmente diretta contro l'ordine delle cose piuttosto che contro l'ordine delle persone. Ad esempio, è molto importante che una rivolta contadina sia accompagnata dal rogo dei titoli di proprietà, piuttosto che dal linciaggio dei grandi proprietari terrieri. Sotto questo aspetto, e solo sotto questo aspetto, è possibile vedere in Bakunin un teorico dell'uso immediato della violenza — anche se questo contraddice un immaginario che conserva dell'anarchismo solo l'uso politico della bomba e del revolver. È un'affermazione quasi costante in Bakunin che una vera rivoluzione è principalmente diretta contro l'ordine delle cose piuttosto che contro l'ordine delle persone. Ad esempio, è molto importante che una rivolta contadina sia accompagnata dal rogo dei titoli di proprietà, piuttosto che dal linciaggio dei grandi proprietari terrieri. Sotto questo aspetto, e solo sotto questo aspetto, è possibile vedere in Bakunin un teorico dell'uso immediato della violenza — anche se questo contraddice un immaginario che conserva dell'anarchismo solo l'uso politico della bomba e del revolver.

Possiamo poi tornare al brano di Parlamentarismo e democrazia che contiene la formula più eclatante su Bakunin. Questo testo riprende la simmetria, già avanzata dalla Teologia politica l'anno prima, tra Cortés, che fa dell'anarchico una figura satanica, e Proudhon, che vede nel cattolico un grande inquisitore fanatico, e ritiene che abbiamo qui i due veri nemici e che tutto il resto sono solo mezze misure. Ma tre anni dopo, in una nota aggiunta alla seconda edizione di questo testo, Schmitt precisa che questa opposizione vale solo “nell'ambito delle tradizioni culturali occidentali. [...] È solo con i russi, specialmente con Bakunin, che appare il vero nemico di tutte le idee consolidate della cultura europea. [16]

L'antipolitica di Bakunin

Perché Bakunin costituisce per Schmitt la figura per eccellenza del nemico — formula non trascurabile per una teoria dove la discriminazione tra amico e nemico diventa il criterio distintivo del politico, facendo del politico un campo autonomo tra tutte le attività umane? Lo si capisce dallo statuto bakuniniano del politico e dai passaggi delle due Teologie politiche (quella del 1922 e quella del 1969). Per Schmitt c'è innegabilmente una superiorità della posizione controrivoluzionaria su quella anarchica. Non solo Schmitt è politicamente più vicino alla reazione cattolica che all'anarchismo bakuniniano violentemente ateo, ma considera anche le teorie della controrivoluzione politicamente più forti, più coerenti, più consistenti, sia teoricamente che praticamente, del loro avversario anarchico.

In occasione della Guerra Franco-Tedesca del 1870-1871, Bakunin delinea una politica contro la politica che consiste nell'azione immediata (cioè non mediata dallo Stato) del popolo, azione che coincide secondo lui con la rivoluzione sociale. La posta in gioco filosofica e politica dei testi che circondano l'impegno di Bakunin in occasione di questo conflitto è al tempo di pensare a una difesa nazionale che faccia a meno delle forze regolari dello Stato, per questo Bakunin, al tempo della Guerra Franco-Tedesca del 1870, si pronuncia a favore della guerra dei partigiani. Questa opzione non sfugge a Schmitt che evoca brevemente la figura di Bakunin nella sua Teoria del partigiano: poiché rifiuta la mediazione dello Stato, Bakunin percepisce l'importanza della figura del partigiano, come combattente moderno.

Il connubio che prende forma nei testi del 1870 tra rivoluzione sociale e rigenerazione nazionale è possibile solo perché Bakunin crede che il patriottismo non si limiti al culto dell'organizzazione statale ma pensa che la nazione, liberata dalla struttura statale, resti un naturale e fatto storico. Nella Lettera a un francese afferma così: “A parte l'organizzazione artificiale dello Stato, in una nazione c'è solo il popolo; quindi la Francia può essere salvata solo dall'azione immediata e non politica del popolo. [17] Il problema è allora che la popolazione, “tornata in possesso di se stessa”, secondo le parole del manifesto rosso affisso a Lione alla vigilia della tentata insurrezione del settembre 1870, prende in mano la propria difesa come nazione.

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Questo uso del concetto di politica non è un hapax nei testi scritti da Bakunin in questo momento. Nell'ultima parte della Lettera a un francese, dedicata alle «conseguenze del trionfo prussiano sul socialismo», Bakunin suggerisce che «l'emancipazione economica» deve portare con sé «l'emancipazione politica del proletariato, o meglio la sua emancipazione dalla politica. [18] Ancor più esplicitamente, il manoscritto che Bakunin scrisse a Marsiglia dopo il fallimento dell'insurrezione di Lione ritiene che la rivoluzione sociale e la rivoluzione politica siano inscindibili, ma che quest'ultima debba essere radicalmente reinterpretata:

La rivoluzione politica, contemporanea e realmente inseparabile dalla rivoluzione sociale, di cui sarà, per così dire, l'espressione o la manifestazione negativa, non sarà più una trasformazione, ma una grandiosa liquidazione dello Stato, e l'abolizione radicale di ogni quelle istituzioni politiche e giuridiche, il cui oggetto è l'asservimento del lavoro popolare allo sfruttamento delle classi privilegiate. [19]

La rivoluzione politica corrisponde dunque alla parte negativa della rivoluzione sociale, in quanto quest'ultima comporta l'emancipazione da ogni autorità ufficiale e deve permettere, alla fine, l'estinzione di ogni forma di dominio. La politica rivoluzionaria non può che essere una politica negativa, una politica antipolitica. Bakunin entra così in questa categoria di teorici per i quali “il qualificatore della politica” può essere “assimilato [...] a quello dello Stato, o almeno messo in relazione con lo Stato”, secondo l'espressione usata da Schmitt in The Concetto di politica. [20]

Nella misura in cui Bakunin sembra qui, per una volta, insistere sulla precisione dei termini, si possono considerare operanti le seguenti proposizioni: la politica è assimilabile allo Stato; la politica è un'attività che si riferisce allo stato; ufficialmente o positivamente, è l'uso dello Stato per garantire i privilegi di una minoranza a spese della maggioranza; negativamente, o in senso rivoluzionario, significa la distruzione dello Stato. [21]

È quindi più facile comprendere l'attacco all'anarchismo contenuto nella prima Teologia politica di Schmitt:

Qualsiasi pretesa di una decisione è necessariamente un male per l'anarchico, perché il diritto è evidente se non si disturba l'immanenza della vita con tali pretese. Naturalmente, questa antitesi radicale lo obbliga a decidere decisamente contro la decisione. [...] Per il più grande anarchico dell'Ottocento, Bakunin, si arriva allo strano paradosso che doveva diventare teoricamente il teologo dell'antiteologico e, in pratica, il dittatore di un'antidittatura. (p.74–75)

Ancora una volta non si può che sottolineare l'attualità di queste analisi, che riecheggiano tre caratteristiche dell'anarchismo bakuniniano: in primo luogo, il prevalere del tema antiteologico, su cui non tornerò, ma anche l'attaccamento di Bakunin alla componente religiosa della rivoluzione. Per Bakunin la rivoluzione è religiosa nel senso che suppone che coloro che la mettono in moto siano permeati da princìpi libertari, allo stesso modo in cui i credenti sono impregnati dalla fede in Dio. E in terzo luogo, questa analisi punta alla questione fondamentale della dittatura - e questo punto è tanto più sorprendente perché Schmitt, nel momento in cui scriveva questo testo, non poteva avere accesso ai testi di Bakunin specificamente dedicati a questa questione.

La questione della dittatura costituisce infatti l'orizzonte teorico e pratico dei rapporti tra Bakunin e il giovane Serzh Nechaev. Nella lettera di rottura che gli indirizzò nel giugno 1870, e che divenne nota solo negli anni Sessanta, Bakunin espone al giovane compagno la propria concezione della dittatura, che non consiste nell'opporsi alla dittatura e alla rivoluzione, bensì nell'opporsi all'occulto dittatura e dittatura ufficiale. Per Bakunin le società segrete sono destinate ad esercitare una dittatura occulta tra i rivoluzionari, che può essere rappresentata nel modo seguente: in un'assemblea, i membri della società segreta possono avanzare idee rivoluzionarie secondo una strategia concertata (in questo modo dettano, ma in via ufficiosa, a questa assemblea le sue posizioni), senza mai apparire come una dittatura consolidata. È chiaro che questo ruolo della dittatura rischia di contraddire l'anarchismo bakuniniano e che esprime al tempo stesso il limite della fede di quest'ultimo nella spontaneità rivoluzionaria. L'unica garanzia che le società segrete forniscono contro la loro istituzionalizzazione è il loro programma, che l'esperienza storica ci ha accusato di considerare insufficiente. Ma Bakunin non ha mai rinunciato a formare società segrete, anche se si sono evolute nel tempo. Dalla metà degli anni Sessanta dell'Ottocento fino al suo ingresso nell'Internazionale nel 1868, le società segrete esprimono chiaramente lo scetticismo di Bakunin nei confronti delle capacità politiche del popolo, sia nella sua componente operaia che in quella contadina: l'iniziativa rivoluzionaria appartiene di diritto alla “piccola chiesa della libertà” che costituisce la minoranza rivoluzionaria delle classi privilegiate. Questa posizione, Bakunin la corregge non appena sperimenta, all'interno dell'Internazionale, le capacità di autorganizzazione della classe operaia, ma ciò non lo spinge per nulla a rinunciare a formare società segrete, la cui esistenza è secondo lui giustificata dalla necessità di avviare un movimento rivoluzionario, che impegna, ci ritorneremo, la questione della decisione, fondamentale nell'anarchismo bakuniniano letto da Schmitt.

Per Schmitt, Bakunin appare così come la figura insieme esemplare e limitante (esemplare perché limitante) dell'anarchismo, inteso come dottrina che si propone di porre fine violentemente al dominio politico. Più in generale, l'anarchismo è considerato parte di quelle teorie che intendono sostituire al dominio politico l'oggettività della necessità economica:

Nulla è oggi più moderno della lotta contro la politica. Finanzieri americani, tecnici industriali, socialisti marxisti e rivoluzionari anarco-sindacalisti uniscono le loro forze con lo slogan che deve essere eliminato il dominio non oggettivo della politica sull'oggettività della vita economica. (pag.73).

Il fondo della proposta schmittiana è dunque il seguente: l'anarchismo bakuniniano è questa dottrina politica paradossale che vuole porre fine alla politica politicamente, o più esattamente, che, per porre fine alla politica in modo efficace, deve essa stessa diventare politica.

Questa interpretazione è presentata nell'introduzione alla seconda Teologia politica nel 1969:

Per atei, anarchici e scienziati positivisti, tutta la teologia politica [...] è stata a lungo ridotta a nulla dal punto di vista scientifico. Usano il termine solo a scopo polemico, come formula preconfezionata o insulto, per esprimere la loro totale e categorica negazione. Ma il piacere della negazione è un piacere creativo; è in grado di produrre dal nulla ciò che è negato, e di portarlo dialetticamente all'esistenza. (pag. 83).

La fine di questa affermazione è una citazione camuffata della conclusione dell'articolo del 1842, “Reazione in Germania”: la distruzione del vecchio ordine era essa stessa portatrice di una nuova positività storica e “la passione per la distruzione è allo stesso tempo una passione creativa.” [22] Ironia della sorte, questa affermazione è stata ripresa da Schmitt per significare che la volontà di porre fine a ogni dominio politico potrebbe essere efficace solo se fosse un criterio per discriminare tra amico e nemico, e quindi la fonte di una nuova politicizzazione.

Dobbiamo ora prendere atto del fatto che Bakunin costituisce per Schmitt la figura del nemico per eccellenza perché incarna una tale volontà di farla finita con la politica. L'anarchismo deve allora essere analizzato come la componente estrema di una tendenza storica alla depoliticizzazione.

Anarchismo e depoliticizzazione

Lo status della politica è al centro dell'interesse di Schmitt per l'anarchismo. I riferimenti al rivoluzionario russo di cui è disseminata la sua opera tendono tutti a fare di lui una sorta di figura estrema del liberalismo, inteso come depoliticizzazione del mondo. Bakunin appare come il teorico più rappresentativo dell'anarchismo come lotta contro la politica. L'identificazione da parte di Schmitt di un nucleo naturalista in Bakunin, che sottende il suo attacco alla politica, legittima secondo lui che si avvicini il teorico russo al liberalismo, di cui egli costituisce in un certo senso la forma estrema. Anarchismo e liberalismo infatti partirebbero dallo stesso postulato antropologico, quello della bontà naturale dell'uomo, per arrivare alla negazione radicale dello Stato o per metterlo al servizio della società. [23] Ma l'interesse dell'anarchismo, per Schmitt, sta proprio nella sua forma estrema, che ne fa la verità ultima del liberalismo.

Tuttavia, questa "antitesi radicale" che Schmitt ritiene presente nell'anarchismo dovrebbe essere messa in discussione, poiché si tratta piuttosto di una costruzione che deriva dalla concezione schmittiana della politica. In effetti, un autore come Bakunin non rifiuta tanto la decisione quanto il suo carattere trascendente, non la dittatura ma il suo carattere istituito. Al contrario, Bakunin non cessa di insistere sulla necessità per gli oppressi di prendere decisioni collettive, di riappropriarsi del proprio destino lottando contro ogni autorità di decisione che sarebbe loro esterna. Questo è il tema degli affascinanti testi che dedica alla sua esperienza di militante dell'Internazionale a Ginevra. Si possono allora muovere due critiche a Bakunin: o rimproverargli di non essersi spinto abbastanza in questa direzione, o escludere per principio il postulato su cui poggia la sua posizione, cioè la capacità di autorganizzazione degli oppressi (negare insomma il primo considerando dello statuto dell'Internazionale, che afferma che l'emancipazione del proletariato sarà opera di gli stessi proletari). Se si formula la prima critica (quella che la tradizione anarchica rivolgeva in particolare alle società segrete di Bakunin), si rifiuta in modo deciso, non il fatto stesso della decisione, ma la separazione di un'istanza di decisione trascendente e la sua consacrazione teologica, in cui Bakunin è un pensatore dell'immanenza politica. Se Schmitt è sempre attento a distinguere il politico dallo statale (senza precisare, peraltro, cosa sarebbe una politica non statale), la contraddizione che egli crede di rilevare in Bakunin, e che in realtà è solo un apparente paradosso, manifesta la costante riaffermazione, nel teorico tedesco, di una concezione autoritaria della decisione che la lega alla questione della sovranità ed è assimilabile a una petizione di principio.

I limiti dell'argomentazione schmittiana sull'anarchismo sono dovuti alla sua troppa politicità, al fatto che essa si fonda su una concezione della politica come semplice discriminazione di amico e nemico, che ne fonderebbe l'autonomia. Ma è proprio questa autonomia del campo politico che Bakunin rifiuta. La politica, quando è una politica rivoluzionaria, una politica antipolitica, non ha senso se non in relazione alla storia. L'“antitesi radicale” individuata da Schmitt può essere realizzata solo staccando l'attività politica, sostanzialmente negativa nel caso di Bakunin, dal suo retroterra storico. L'antropologia politica cui Schmitt rimanda il punto di vista del teorico anarchico sul politico è peraltro del tutto riduttiva. Bakunin, infatti, non sostiene mai che l'uomo sarebbe naturalmente buono. L'ottimismo naturalista di Bakunin riguarda l'evoluzione dell'umanità. Poiché l'umanità è per sua natura una specie che evolve e progredisce, non ci si può limitare ad una valutazione della natura buona o cattiva degli individui che la compongono. Ma l'attività politica ha senso solo in riferimento a una storia che dovrebbe rappresentare il progressivo compimento dell'umanità, che è essenzialmente un processo di umanizzazione dell'umanità. Per dare un senso alla politica anarchica è dunque necessaria un'analisi dell'evoluzione dell'umanità e del posto che la storia occupa in essa. Ma l'attività politica ha senso solo in riferimento a una storia che dovrebbe rappresentare il progressivo compimento dell'umanità, che è essenzialmente un processo di umanizzazione dell'umanità.

Infine, la logica dell'inversione e della simmetria utilizzata in Teologia politica e Parlamentarismo e democrazia ha i suoi limiti, che Schmitt volutamente ignora quando ritiene che il problema per Bakunin si riduca al problema meramente psicologico del desiderio di dominio, o che la dottrina teologica del peccato è l'unico male. Queste semplificazioni indicano che la figura di Bakunin in Schmitt è soprattutto una costruzione teorica che può opportunamente essere contrapposta a teorie che fanno della discriminazione tra amico e nemico il criterio distintivo della politica.

Bakunin: un mito politico schmittiano

Per concludere, dobbiamo tornare allo statuto dell'anarchismo bakuniniano nel pensiero di Schmitt e all'assimilazione di Bakunin a una sorta di figura estrema del liberalismo, che porterebbe alla fine alla riduzione dell'unità sociale a un'entità puramente tecnica.

Il socialismo di Bakunin non può limitarsi a una riorganizzazione della società su basi strettamente economiche, cosicché “ci sarebbe unità sociale […] solo nella misura in cui gli inquilini dello stesso edificio, gli abbonati al gas collegati alla stessa fabbrica, o i viaggiatori sullo stesso autobus costituisce un'unità sociale”, [24] secondo la formula usata da Schmitt in Il concetto di politica. Il ruolo svolto da un'istanza come la comune negli scritti programmatici di Bakunin [25] permette di affermare l'irriducibilità del sociale all'economico. È il comune, entità sociale prima che politica, che riconosce alle cooperative di produzione lo statuto di associazione, con i diritti politici che ne derivano. È il comune che si fa carico dell'educazione dei singoli, grazie alle spese liberate dal fondo ereditario, e si trova nel socialismo di Bakunin un abbozzo di progetto educativo che, pur restando sul piano dei princìpi, impegna la comprensione da parte del Teorico russo dello sviluppo dell'individuo e della sua concezione dei rapporti tra famiglia e società. C'è in Bakunin il riconoscimento di una spontaneità del sociale che si manifesta attraverso l'autorganizzazione. Da allora in poi, la riduzione della politica allo stato non significa assenza di decisione nell'evoluzione delle società, ma rifiuto di un'autorità separata che mirerebbe solo alla propria conservazione. Una “buona politica” che non dice il suo nome è presente in Bakunin, oltre lo Stato, quella dell'autorganizzazione della società.

Quindi, come valutare l'importanza dell'anarchismo bakuniniano negli scritti di Schmitt se non come costruzione teorica che ci permette di prendere di mira il nemico? Una dimensione russofoba raramente enfatizzata sovradetermina la scelta del rivoluzionario russo come figura del nemico radicale e fa parte dei miti politici di Schmitt, dove la russofobia spesso compete con l'anticomunismo, al punto che a volte è difficile sapere se si è base dell'altro, o viceversa. Bakunin è interessante per Schmitt, perché non è solo anarchico, ma anche russo. In questo, si suppone che sia radicalmente estraneo alla cultura europea, è un orientale, quindi il suo anarchismo dovrebbe essere più autentico di quello di Proudhon, o anche del socialismo di Marx, entrambi ancora troppo segnati dal pensiero borghese.

Si potrebbe infine dire della figura di Bakunin in Schmitt che essa costituisce l'incarnazione dell'impossibile depoliticizzazione del mondo umano. Pensando alla distinzione nietzscheana tra nichilismo passivo e attivo, si potrebbero vedere all'opera in Schmitt due figure di depoliticizzazione: una depoliticizzazione passiva, di cui il liberalismo sarebbe il vettore, e una depoliticizzazione attiva, di cui l'anarchismo bakuniniano fornirebbe la migliore illustrazione, nella misura in cui porta con sé il progetto di porre fine a ogni dominio politico. La questione posta dalla lettura schmittiana di Bakunin è dunque quella di una ridefinizione del politico, che permetta di pensarlo al di là del dominio.

🗒️ Note e appunti

[1]  C. Schmitt, Teologia politica, trad. J.-L. Schlegel, Parigi, Gallimard, 1988.

[2]  M. Bakunin, Opere complete, Parigi, Champ libre, 1974–1982, vol. io, pag. 45 e pag. 254.

[3]  M. Bakunin, Frammenti sulla Massoneria, Frammento E, rispettivamente p. 2 e pag. 6, in Opere complete, CD-ROM, Amsterdam, IISG, 2000.

[4]  M. Bakunin, Federalismo, socialismo e antiteologismo, in Opere, vol. I, Parigi, Stock, 1980, p. 166–167.

[5]  Ivi, p. 167–168.

[6]  P.-J. Proudhon, Gesù e le origini del cristianesimo, in Scritti sulla religione, Parigi, Marcel Rivière, 1959, p. 526.

[7]  M. Bakunin, Federalismo, socialismo e antiteologismo, ed. cit., p. 193: per la teologia, «la libertà umana non produce il bene, ma il male, l'uomo è cattivo per natura».

[8]  M. Bakunin, Opere complete, vol. VIII, pag. 473.

[9]  Bakunin crede inoltre che Satana si sia comportato "come un rivoluzionario esperto", rivolgendosi alle donne per conquistare il cuore degli uomini (ibid.).

[10]  Ivi, p. 99.

[11]  Si vedano i Frammenti sulla Massoneria dell'estate del 1865 (Frammenti A ed E), dove si rivolge contro i Massoni che vorrebbero conciliare l'esistenza di Dio con quella della libertà umana. Vedi anche Federalismo, socialismo e antiteologismo, p. 101, di cui queste pagine de L'Empire sono una rielaborazione quasi letterale.

[12]  M. Bakunin, Federalismo, socialismo e antiteologismo, p. 194 (Bakunin sottolinea).

[13]  Sul punto si veda J.-C. Monod, La quarrel de la secularisation. Da Hegel a Blumenberg, Parigi, Vrin, 2002. L'autore cita (p. 195) la teologia politica di Mazzini, ma seguendo Schmitt, ritiene che l'idea di teologia politica in Bakunin abbia un solo valore controverso.

[14]  Si veda la mia traduzione di questo testo in J.-C. Angaut, Bakounine jeune hégélien. La filosofia e il suo fuori, Lione, Edizioni ENS, 2007.

[15]  C. Schmitt, Parlamentarismo e democrazia, trad. J.-L. Schlegel, Paris, Seuil, 1988, p. 83.

[16]  Ibid., nota p. 87.

[17]  M. Bakunin, Opere complete, vol. VII, pag. 20 (Bakunin sottolinea).

[18]  Ivi, p. 97 (Bakunin sottolinea).

[19]  Ivi, p. 200.

[20]  C. Schmitt, La nozione di politica, trad. M.-L. Steinhauser, Paris, Flammarion, 1992, p. 58.

[21]  Su questo punto come su tanti altri, Bakunin va paragonato a Proudhon che, nei suoi Quaderni del 1852, confidava: “Io faccio politica per ucciderla e porre fine alla politica” (citato da P. Chanial, “ Giustizia e contratto nella repubblica delle associazioni di Proudhon", Corpus, n° 47, 2004, p. 113).

[22]  M. Bakunin, “La reazione in Germania”, in J.-C. Angaut, Bakunin giovane hegeliano, p. 136.

[23]  C. Schmitt, La nozione di politica, p. 103–104.

[24]  Ivi, p. 100.

[25]  Il più elaborato è il rivoluzionario Catechismo del 1866, apparso nelle Opere complete di Bakunin, edizione citata.


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