Il solarpunk è un movimento culturale e artistico che promuove una visione ottimista e progressista del futuro, con una particolare attenzione verso le energie rinnovabili e le nuove tecnologie sostenibili. Il solarpunk copre numerosi ambiti quale l’arte, la narrativa fantastica e di fantascienza, l’architettura e l'attivismo e si pone come obiettivo la realizzazione concreta di un futuro tecnologico ed ecosostenibile e la lotta al cambiamento climatico. Si presenta inoltre come un genere letterario opposto al cyberpunk e alla cli-fi, poiché ne rovescia i principi di base, in particolare la visione nichilistica e post apocalittica del futuro.
Quelle solarpunk sono storie che osano essere ottimiste e che ambiscono a raccontare realtà sfaccettate, dove la soluzione non è una panacea tecnologica – espressione di un tecno-ottimismo rivelatosi illusorio – ma il risultato di scelte politiche sfumate e complesse. Crediamo che la visione solar punk possa essere molto vicina all'organizzazione comunitaria, stessa cosa vale per altri modi e mondi distopici come lo steam e l'atompunk.
Il termine "solarpunk" è stato coniato su Internet ed è stato utilizzato per la prima volta nel 2008, diffondendosi inizialmente in blog e discussioni on-line. È diventato però popolare solo negli anni successivi, in particolare dopo la pubblicazione nel 2011 di Innovation Starvation, un articolo dello scrittore di fantascienza Neal Stephenson nel quale viene criticata la situazione di stallo in cui si trova la scienza moderna. Stephenson sottolinea come la mancanza di iniziativa da parte della società, soprattutto nel campo delle energie rinnovabili, si sia progressivamente riflessa anche nella letteratura fantascientifica degli ultimi anni, sempre più caratterizzata da visioni distopiche e pessimiste. Lo scrittore parla inoltre della Hieroglyph Theory, termine coniato durante un evento a cui aveva preso parte, che sostiene che i concetti scientifici alla base delle grandi storie di fantascienza del secolo scorso, ad esempio i robot di Isaac Asimov o il cyberspazio di William Gibson, abbiano svolto un ruolo importante nel progresso scientifico in passato, poiché presentavano innovazioni tecnologiche con una logica interna che hanno influenzato la comunità scientifica dell'epoca.Dall'intervento di Stevenson è nato nel 2011 il progetto Hieroglyph, in collaborazione con la Arizona State University, che si pone come obiettivo la pubblicazione di storie di fantascienza più ottimiste, in modo da poter ispirare e indirizzare la comunità scientifica verso le tecnologie ecosostenibili.
Nel 2012 viene pubblicata in Brasile la prima antologia di storie solarpunk, Solarpunk: Histórias ecológicas e fantásticas em um mundo sustentável di Gerson Lodi-Ribeiro.Nel 2014 è stato pubblicata la prima raccolta di racconti nell'ambito del progetto, con il titolo Hieroglyph: Stories and Visions for a Better Future. Nel settembre dello stesso anno Adam Flynn ha pubblicato l'articolo Solarpunk: Notes toward a manifesto sul sito del progetto Hieroglyph, descrivendo le caratteristiche principali del movimento.
Da luglio 2019 a febbraio 2020 si è svolta al Museo d'arte di Tel Aviv l'esibizione "Solar Guerrilla: Constructive Response to Climate Change" nella quale era presente una sezione dedicata al solarpunk.
Distopie e catastrofismo da tempo rappresentano una delle correnti dominanti della fantascienza, sulla scia di padri illustri come Orwell, Bradbury e Huxley. Peccato che la lucidità critica e la forza di rottura di questi autori – e di diversi che li hanno seguiti – sia stata normalizzata e incanalata in quello che è diventato un facile trend commerciale, che si allinea a un certo pessimismo diffuso senza offrire nulla di davvero nuovo.
Esistono però approcci che si ribellano a queste narrazioni dominanti e reagiscono cercando strade diverse. Approcci che vanno dal progetto Hieroglyph alla rinata fantascienza cinese, fino al solarpunk.
Derivativo del cyberpunk, il solarpunk non è soltanto un genere letterario ma anche un manifesto, un movimento speculativo e controculturale che si oppone a un futuro dominato da «anziani in grandi città impauriti dal cielo», come prevede lo scrittore (e co-fondatore del cyberpunk) Bruce Sterling. Andrew Dana Hudson, scrittore e membro del Center for Science and the Imagination dell’Università dell’Arizona, lo definisce «uno sforzo collaborativo per immaginare e progettare un mondo di prosperità, pace, sostenibilità e bellezza, raggiungibile con ciò che abbiamo e da dove siamo adesso» nel saggio che apre Solarpunk: Come ho imparato ad amare il futuro, una raccolta di racconti pubblicata da Future Fiction e curata dal suo cofondatore e scrittore Francesco Verso.
Rifiutare la distopia non vuol dire gettarsi nelle utopie più sfrenate e ingenue
Come sottolinea nell’introduzione lo scrittore Fabio Fernandes, «Non si tratta di mostrare una società composta da shiny happy people, ma da persone che si occupano del qui e ora e, di conseguenza, del futuro». Quelle solarpunk sono storie che osano essere ottimiste e che ambiscono a raccontare realtà sfaccettate, dove la soluzione non è una panacea tecnologica – espressione di un tecno-ottimismo rivelatosi illusorio – ma il risultato di scelte politiche sfumate e complesse. Agire, per un solarpunk, non significa distruggere, fare tabula rasa e ripartire da zero, ma piuttosto riutilizzare e rinnovare; significa opporsi a una politica anziana e statica ma anche imparare a conviverci, creando quelle che Hudson chiama «sacche di progresso e immaginazione»; significa farsi strada nelle crepe di una società decadente, facendo crescere alberi nelle spaccature dell’asfalto; significa – ricorrendo di nuovo alle parole di Hudson – «Incoraggiare una resilienza che isoli paesi e quartieri dagli shock economici. Instaurare patti di mutuo soccorso che proteggano i membri dalla predazione fiscale».